
Siamo
 in una fase di grande incertezza e di posizionamenti complessi, in 
particolare nel mondo sindacale. Ci troviamo di fronte al silenzio 
pressoché totale delle associazioni e dei soggetti che potrebbero in 
qualche modo intervenire per sollevare le questioni relative ad un testo
 di legge – la 107/15, la sedicente “Buona Scuola” – imposto con il voto
 di fiducia contro un dissenso quasi totale. 
Siamo delusi dalla mancata promessa di un “
Vietnam in ogni scuola” con
 l’inizio del nuovo anno scolastico, che ha fatto invece registrare 
cadute di tensione (e do attenzione) sul tema caldo dell’ultimo anno, la
 scuola.
 
Vediamo
 collegi dei docenti proni ed acquiescenti, sfiduciati o disorientati, 
che, essendo passata la legge, ritengono che la battaglia sia esaurita, 
dimenticando o addirittura ignorando il fatto che esistono ancora le 
armi (le “fatte salve” prerogative degli organi collegiali) per il 
contrasto e – ancora di più – le deleghe in bianco previste dalla legge 
al Governo, sulle quali si può e si deve intervenire.
E
 così navighiamo più o meno a vista di fronte ad alcune emergenze: il 
bonus per il presunto merito; la questione dell’accredito di 500 euro, 
gentile concessione del governo-padrone, che ricompensa con donazioni una tantum e non attraverso la norma contrattuale; l’elezione del Comitato di Valutazione, al momento la più urgente.
Il
 Comitato di Valutazione previsto dalla legge 107 è il frutto concreto 
della progressiva rivisitazione del testo originale (che prevedeva il 
totale arbitrio del dirigente nell’assegnare i fondi per il merito e 
pertanto la sua appropriazione delle principali prerogative degli organi
 collegiali), conseguente al montare del dissenso e della mobilitazione.
 Nei passaggi parlamentari che si sono susseguiti prima del voto di 
fiducia in Senato, il testo è così andato apparentemente “addolcendo” le
 sue iniziali asperità; queste modifiche non erano segnale di ascolto 
delle ragioni della scuola,  ma conferma della astuzia demagogica del 
premier e del suo staff: qualche leggera concessione ad una falsa 
democrazia per continuare ad andare avanti come treni.
Il
 Comitato di Valutazione, così come la legge 107 lo ha ridefinito, è 
presieduto dal dirigente e comprende 2 docenti scelti dal collegio, 1 
docente, 1 genitore e 1 studente (alle superiori) nominati dal consiglio
 di Istituto e un funzionario inviato dall’Ufficio Scolastico Regionale.
 Le sue funzioni sono di diverso tipo perché riprendono anche le 
prerogative precedenti, come la valutazione dell’anno di prova dei 
docenti neoassunti; al netto della composizione, la fondamentale novità è
 il fatto che il Comitato deve definire i criteri sulla base dei quali 
il dirigente premierà con un bonus in denaro i docenti meritevoli.
La legge fissa alcune categorie generali, prevedendo che questo avvenga sulla base:
“a) della  qualità dell’insegnamento e del contributo  al miglioramento dell’istituzione scolastica, nonché del successo formativo e scolastico degli studenti;
b)
 dei risultati ottenuti dal docente o dal gruppo di docenti in relazione
 al potenziamento delle competenze degli alunni e dell’innovazione 
didattica e metodologica, nonché della collaborazione alla ricerca 
didattica, alla documentazione e alla diffusione di buone pratiche 
didattiche;
c) delle responsabilità assunte nel coordinamento organizzativo e didattico e nella formazione del personale”.
Riprendo
 rapidamente alcune considerazioni sulle quali mi sono soffermata 
diverse volte. È testimoniata l’assoluta inconsapevolezza da parte del 
Miur delle condizioni interne ai singoli istituti scolastici, a volte 
egemonizzati da un vero e proprio gruppo di potere, che agisce più o 
meno arbitrariamente, con atteggiamento proprietario, in palese 
violazione della dimensione collegiale, che determina in modo forzoso 
gli indirizzi della scuola e che può essere ulteriormente rafforzato da 
operazioni che classifichino il personale in “meritevole” e non.
È
 poi evidente l’irragionevolezza delle categorie proposte dalla norma. 
Un’impostazione qualitativa dei criteri di valutazione è opinabile di 
per sé: come si fa a valutare realmente la qualità dell’insegnamento? 
Un’impostazione quantitativa sarebbe ancora una volta mirata a premiare 
il volume di lavoro svolto, ma escluderebbe quello messo in atto in 
classe, determinando il concreto rischio che siano da considerare 
“meritevoli” i tanti interpreti di quel disorganico e spartitorio 
“progettificio” a cui è stato ridotto il POF in molte realtà. È giusto 
questo?
E
 quale destino aspetta il docente preparato sulla disciplina e 
abilissimo nell’instaurare relazioni educative significative, ma 
incapace di ossequiare il Capo e i suoi accoliti, di improntare 
eventualmente la didattica a precise direttive, di rinunciare a 
partecipare democraticamente e criticamente all’esercizio del proprio 
diritto di parola nelle sedi preposte? E, ancora, di respingere le 
ottime opportunità che il marketing configura
 per il mantenimento della scuola, a costo però della rinuncia al 
mandato che la Costituzione le affida, cioè di strumento di equità 
sociale e pari opportunità per i cittadini?
Insomma,
 da qualsiasi prospettiva lo si guardi, il Comitato di Valutazione – 
oltre tutto presieduto dal dirigente, ovvero da chi deve ricevere e 
impiegare i criteri per agire, in una paradossale configurazione di quel
 conflitto di interesse nelle istituzioni di cui il nostro Paese vanta 
un campionario ineguagliabile – si configura come uno strumento di 
aggressione intenzionale al principio alla libertà dell’insegnamento. 
Che non è un residuale privilegio di maestri e professori, ma un 
principio inserito dai Costituenti dopo la fine politica e la condanna 
morale del regime fascista a tutela dell’interesse generale, per 
garantire i giovani cittadini della Repubblica (e pertanto tutti i 
cittadini) contro ogni forma di pensiero unico e di indirizzo culturale 
autoritario, con il conseguente obbligo per ciascuna scuola di essere 
un’istituzione democratica, laica, pluralista, inclusiva.
Sul
 Comitato di Valutazione si sono già dette e scritte molte cose, anche 
in contraddizione le une con le altre, in conseguenza delle ambiguità 
del testo di legge.
Un
 tema che ha indubbiamente tenuto banco è stato se esso debba 
configurare o meno un collegio “perfetto”. Il quesito è se – per operare
 relativamente ad una delle sue funzioni, quella della determinazione 
dei criteri del merito – il Comitato abbia il vincolo della presenza di 
tutti i suoi componenti o possa invece operare anche solo con la 
presenza di alcuni di essi.
Sulla
 prima ipotesi, con argomentazioni anche molto convincenti, si sono 
attestati tutti coloro che hanno dato indicazioni di non votare in 
collegio i  membri del Comitato  di Valutazione, cosa che infatti si è 
 verificata in varie scuole.
Di
 contro – e questo non è che uno degli esempi del modo farraginoso e 
viscoso in cui è scritta la 107 – si è sostenuto che sarebbe opportuno 
entrare a far parte del Comitato per indirizzare all’assunzione di 
criteri quantitativi (ad esempio il coordinamento delle classi o dei 
dipartimenti e altre funzioni strutturali della scuola, che – a causa 
del progressivo dimezzamento del Fis – sono attualmente sottopagate) 
piuttosto che qualitativi. Alcuni collegi hanno così eletto i membri del
 comitato con un “vincolo di mandato”: essere operativo – tra le 
funzioni che esso ha – sulla valutazione dei nuovi assunti e non sulla 
determinazione dei criteri per l’assegnazione del bonus-merito ai 
docenti.
A tentare di dirimere le controversie – e a sottolineare la cialtroneria con cui la legge è stata redatta – è intervenuta una 
FAQ ministeriale, che su questo punto recita:
Quando si può ritenere che il Comitato è validamente costituito?
Una norma di carattere generale sulla costituzione degli organi collegiali (art. 37 del Testo Unico)
 prevede che l’organo collegiale è validamente costituito anche nel caso
 in cui non tutte le componenti abbiano espresso la propria 
rappresentanza. Ciò vale, ad esempio, se il Consiglio d’Istituto o il 
Collegio dei docenti non provvede volontariamente alla scelta dei 
componenti di sua spettanza.
Nel
 Paese di Pulcinella (e anche di Renzi) tutto può accadere: mettere una 
pezza ad una legge scritta con i piedi attraverso una FAQ ministeriale –
 che giuridicamente non ha alcuna valenza – potrebbe essere un malcelato
 tentativo di spingere i docenti a non boicottare il comitato.
Detto
 in altre parole: quanto abbiamo riportato qui sopra NON è la legge. Ma 
certamente questa interpretazione può indurre alcuni indecisi – rispetto
 ad un groviglio così inestricabile – ad assumere una certa posizione.
L’incertezza è ulteriormente sottolineata dal fatto che molti sindacati e associazioni (persino l’
ANP)
 stiano dando ai propri dirigenti l’indicazione di andar cauti, cosicché
 in molti collegi il tema non è stato ancora affrontato.
Il
 percorso di contestazione del Comitato di Valutazione sembrerebbe 
determinarsi pertanto attraverso due possibilità: boicottaggio tout court, con
 il rischio che l’interpretazione del Miur determini invece effetti 
contro questa posizione, che si basa sulla presunzione del collegio 
perfetto; oppure scelta di docenti – ma, laddove sia possibile, anche di
 genitori e studenti – convinti della necessità di non creare 
discriminazioni e di tutelare la libertà di insegnamento.
Quale
 posizione assumere dipende, innanzitutto, dai rapporti di forza nei 
singoli collegi docenti. Prospettiva quest’ultima che, in questo momento
 di profondo disorientamento e di mancanza assoluta di certezze – oltre a
 quella di doversi opporre con ogni forza all’arbitrio configurato dalla
 107 –, mi pare forse non la più giusta, ma la più praticabile.
C’è
 da giurare, in ogni caso, che l’azione concreta dei Comitati di 
Valutazione sarà un ulteriore campo di contenzioso. Ma occorre che – 
nonostante l’apatia e l’inerzia che troppi docenti stanno piuttosto 
irresponsabilmente dimostrando in questo momento – ci si renda conto che
 coloro che la scorsa primavera si sono opposti alla 107, se allora 
erano davvero convinti e in buona fede, hanno ora una ottima occasione 
per manifestare il proprio dissenso e fare il proprio dovere di 
cittadini prima ancora che di docenti nella tutela di uno dei principi 
costituzionali primari.
Marina Boscaino