i post-schiavi dell'alternanza scuola lavoro

Stavolta la Confindustria ha dato un “compito a casa” alla ministra Giannini che da brava alunna scrive il suo compitino e la Confindustria lo pubblica sul suo giornale.
Di sicuro la Confindustria ha gradito perché, anche se la ministra si dimostra poco ferrata sulla sua riforma – ma non è grave, probabilmente gliel’ha scritta qualcun altro – tanto da dimenticare che l’alternanza scuola lavoro è 400 ore nel triennio nei professionali e tecnici, per il resto l’alunna si dimostra molto brava, ad es. nel fare le citazioni giuste, come l’esempio della bottega rinascimentale, vero faro-guida per la scuola di oggi – esempio ripreso pari-pari dal dossier della Confindustria sull’alternanza scuola-lavoro, ed è brava anche nel toccare i tasti giusti, come la leccatina sul ruolo fondamentale delle “multinazionali tascabili” italiane o ancora dove  ricorda che il miur su sta roba dell’alternanza ci sta mettendo tanti soldi (dieci volte di più dell’anno scorso!)
A buon intenditor...
 Silvana Vacirca FI
 p.s. l’unica cosa che non si capisce è il titolo: che c’entra Pompei? Nell’articolo non ce ne è traccia. Ma forse voleva dire che alla prossima assemblea del personale, a tenere aperto il sito archeologico ci possono mandare i ragazzi in alternanza scuola-lavoro. Poi il passo è breve: magari potrebbero pure mandarli a tenere aperto quando scioperano i dipendenti.
 
Ecco l’articolo

Scuola-lavoro, il futuro di Pompei

 
L’alternanza Scuola-Lavoro è un punto fondamentale della Legge 107/2015, cosiddetta “La Buona Scuola”. Promuove e incardina nell’ordine disciplinare dell’istruzione un numero di ore (200 per i Licei, 300 per gli Istituti Tecnici Professionali, durante l’ultimo triennio con orari anche pomeridiani) che lo studente trascorre presso imprese ed enti, pubblici e privati. Consentitemi di dirlo con chiarezza: è il più ambizioso tentativo di ribaltamento dello schema educativo della scuola italiana, ancora incardinato sullo schema «prima imparo, poi faccio».
Da quest’anno la direzione cambia: la pratica diventa strumento di apprendimento e di potenziamento delle competenze.
Non per copiare la Germania, vorrei sottolineare, ma per copiare l’Italia che fu e l’Italia che funziona: quella delle botteghe rinascimentali, quella dell’innovazione diffusa delle nostre multinazionali tascabili, per cui vivere e comprendere la bellezza e il lavoro che sta dietro di essa diventa un elemento fondante del gusto, dello stile, della cultura italiana.
L’alternanza supera culturalmente lo stage: propone una formazione congiunta che accade nella realtà del lavoro. Rilancia, attraverso un attento processo di controlli, verifiche, certificazioni elaborate da docenti e da tutor delle imprese, il dinamismo laboratoriale, innovativo e creativo di una Scuola che torna ad essere un’agenzia del territorio, il soggetto protagonista che sa orientare, che non rincorre il lavoro, ma coglie e inventa nuove opportunità al lavoro stesso.
È un progetto strategico esecutivo e strutturale: dal 2016 il Miur investe sulle scuole in alternanza 100 milioni di euro l’anno. Più di dieci volte l’anno scorso. L’obiettivo primario è mettere lo studente al centro di processi curriculari e disciplinari rigenerati da un’esperienza di formazione congiunta costruita attraverso l’apertura della scuola al mondo esterno.
Una formazione che riduce dispersione scolastica e favorisce non solo e non tanto la professionalizzazione – i lavori che faranno i nostri figli tra dieci anni ancora non esistono – ma anche le competenze trasversali, la creatività, l’etica della responsabilità, il lavoro in gruppo. In una parola, diamo basi solide a un nuovo protagonismo delle nuove generazioni.
Nel modello di alternanza all’italiana che stiamo costruendo, il lavoro non diventa strumento di apprendimento solo per i ragazzi dei tecnici e dei professionali, ma anche per i loro colleghi che hanno scelto i licei. In questo caso la collaborazione con gli enti locali, e con le istituzioni culturali del nostro Paese diventa essenziale.
Un’istruzione che miri ad una formazione critica, prammatica, processuale, di reale apertura alle identità dei territori e al valore della cittadinanza attiva, trova nel patrimonio culturale un’occasione di formazione essenziale. L’alternanza scuola lavoro può essere lo strumento che sancisce l’alleanza tra istruzione e cultura.

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