Manifestazione contro i test
standardizzati PARCC davanti alla Mayfield High School di
Las Cruces, New Mexico (foto Ap/Robin Zielinski)
Da noi
sono arrivati solo da qualche anno con l’introduzione dei
questionari Invalsi e continuano a suscitare grosse
diffidenze sia nei docenti che fra genitori e studenti. Ma
in America i test standardizzati sono parte integrante del
sistema scolastico da mezzo secolo. Eppure da qualche tempo
anche nella culla dei questionari a risposta multipla
qualcosa sembra essersi rotto: i test standardizzati sono
diventati oggetto di feroci polemiche e boicottaggi in varie
parti del Paese, al punto da costringere le autorità a
ripensare il ruolo di queste prove nell’iter educativo.
Onnipresenti in tutti i gradi
d’istruzione in America, i «test standardizzati» sono quelle
prove di valutazione progettate in modo da garantire
condizioni di elaborazione e valutazione uguali per tutti
gli studenti che vi si sottopongono, a prescindere
dall’istituto scolastico o lo Stato da cui provengono. Messi
a punto nella Cina imperiale, sono stati introdotti in
Europa e in Nord America via Regno Unito. Gli Usa ne sono
diventati accaniti sostenitori: in principio erano foglio
matita; oggi si elaborano sul computer. L’ultima generazione
di questi test si è adattata alle convinzioni didattiche
contemporanee, per esempio enfatizzando il pensiero critico.
Rispetto alla generazione precedente, forniscono più
materiale per valutare le conoscenze e i progressi degli
studenti.
In circa tre dozzine di Stati
americani, in questo semestre gli studenti sono chiamati a
sottoporsi a questi test, dagli acronimi come PARCC e SBAC.
Ma ecco la novità: per la prima volta c’è chi si ribella
arrivando persino al boicottaggio. Il movimento che rifiuta
queste prove di valutazione si espande a macchia d’olio,
scavalca i confini statali e diventa trasversale: partito
dai genitori, ha trovato il supporto del sindacato degli
insegnanti e pare ora guidato dagli studenti stessi. Cosa si
rimprovera a questi test? Di essere deboli e inefficaci,
innanzitutto, nel riuscire a valutare davvero le capacità
degli studenti. Una pratica molto costosa per le casse
pubbliche, a cui le scuole destinano risorse economiche
preziose, che potrebbero essere impiegate per sviluppare
metodi d’insegnamento e di valutazione creativi, che
riescano a coinvolgere maggiormente gli studenti rispetto a
un test a risposta multipla. E ancora: la nuova generazione
dei PARCC usati in New Jersey e altri 11 Stati è stata
elaborata in collaborazione con un’azienda privata, la
Pearson Education, e questa declinazione commerciale non
convince, tanto più che i test – se non determinano la
promozione degli studenti, giocano un ruolo decisivo nelle
possibilità che questi hanno di beneficiare di programmi e
aiuti speciali. E incidono sulla valutazione degli
insegnanti, di quanto sono stati bravi con i propri alunni,
che negli Stati Uniti vuol dire: incidono sul loro salario.
Un caso per tutti, forse il più
eclatante: quello del New Jersey. In questo Stato a sud di
New York, il più popoloso degli Stati Uniti, la rivolta
delle famiglie – portata avanti in primis via Facebook -
contro i test PARCC (Partnership for Assessment of Readiness
for College in Careers), a cui dovevano essere sottoposti
tutti gli alunni tra gli 8/9 e i 16/17 anni, ha trovato
ampio appoggio nei consigli d’istituto. A febbraio la
Commissione Educazione dell’Assemblea dello Stato ha votato
all’unanimità tre proposte di legge: moratoria di tre anni
sui test; divieto di sottoporvi bambini dall’asilo fino al
secondo grado (8 anni d’età), e libertà dei genitori di non
farli fare ai figli. In marzo il più grande sindacato degli
insegnanti dello Stato ha promosso una serie di feroci spot
alla tv anti-test standardizzati. E adesso, mentre i
politici stanno vagliando le misure da prendere, sulla
scrivania del Ministero dell’Istruzione dello Stato è
arrivata un’istanza – promossa da cinque cittadini –
affinché stabilisca nuove regole per uniformare il modo con
cui i genitori possano rifiutare di far sottoporre i figli
al test. Una «petizione a legiferare», procedura rara che
scavalca i passaggi legislativi standard e si appella
direttamente all’autorità di competenza.
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