Recentemente la Covip, autorità di vigilanza sulla previdenza integrativa, ha lanciato un
allarme sui costi, esplicitamente sconsigliando i piani individuali pensionistici e i fondi pensione aperti e caldeggiando invece quelli detti chiusi o negoziali. Sembrava un comunicato di Assofondipensione, la loro associazione di categoria, per giunta con numeri spaventosi: capitale finale o pensione potrebbero risultare inferiori anche del 40%.
Ma non è compito di un’authority indirizzare le preferenze dei cittadini. È come se la Consob mettesse in guardia i risparmiatori da alcuni intermediari, spingendoli verso altri, sostenendo che sono meno cari. Infatti proprio per questo sarebbero meglio i fondi chiusi o di categoria (Cometa, Priamo, Fonte ecc.), istituiti con accordi concertativi fra sindacati e associazioni padronali. Ma ammesso pure che attualmente i loro costi siano minori, essi incorporano però un elemento di rischio aggiuntivo, cosa regolarmente taciuta dall’organo di controllo, dalla stampa e dalla cosiddetta educazione finanziaria.
Aderire alla previdenza integrativa è sempre una scelta azzardata a causa di due gravissime fonti di pericolo. L’assenza di tutele in termini di potere d’acquisto e l’opacità quasi totale della gestione, che impedisce agli interessati di scoprire eventuali ruberie. Ma i fondi pensione chiusi aggiungono un conflitto d’interessi mastodontico, insito nel loro stesso Dna, ossia nella normativa che li regola. Possono infatti investire fino al 30% del patrimonio in aziende collegate al fondo di categoria (chimiche per Fonchim, edili per Prevedi ecc.) e sono governati in misura paritetica dai rappresentanti dei lavoratori e delle aziende (una vera assurdità).
Tutto ciò genera un forte potenziale distruttivo. Il rischio non è immediato, ma in una futura situazione di crisi agli imprenditori basterà far passare dalla loro parte uno solo degli amministratori di emanazione sindacale, per aver la maggioranza assoluta e usare il risparmio previdenziale dei lavoratori/risparmiatori per puntellare le loro imprese. Né questi ultimi avranno modo di impedirlo, ingabbiati nei rispettivi fondi. Possono solo difendersi prima, evitandoli.
In effetti basta porsi una domanda e darsi l’ovvia risposta. Perché mai gli imprenditori versano soldi nei fondi pensione dei loro dipendenti? Perché sanno che all’occorrenza potranno riprenderseli in misura maggiorata, facendogli comprare titoli delle loro aziende, in situazione critica o addirittura decotte.
Beppe Scienza
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