Consigli di classe oltre le 40 ore, spetta lo straordinario. Tribunale condanna MIUR a risarcimento

mercoledì 23 novembre 2016

Il Tribunale di Torino con decisione 164 del 2016 ha concesso un risarcimento ad alcuni docenti che hanno partecipato a riunioni oltre le 40 ore.
Il contratto collettivo prevede che il docente debba partecipare ad attività collegiali quali consigli di classe, interclasse e intersezione fino ad un impegno massimo di 40 ore.
Si tratta di un limite che il giudice non ha considerato “tassativo”, ma il suo superamento deve comportare un risarcimento danno.
Il ricorso è avvenuto ad opera di docenti di religione ed educazione fisica che avendo numerose classi erano stati costretti a partecipare ad un numero di incontri che superava le 40 ore.
Il Ministero è stato condannato, quindi, a pagamento di € 1.063,12, di € 315,00 e di € 705,77 a tre docenti sulla base delle ore in più effettuate.

Risarcimento negato per abuso precariato, spetta solo ricostruzione carriera. Sentenza della Cassazione

Nessun danno. Doccia fredda, freddissima, quasi gelata per gli ex precari della scuola docenti ed ATA.
La Corte di Cassazione ha appena emesso le prime sette sentenze pilota (numeri da 22552 a 22558) che hanno deciso una prima tranche dei 79 ricorsi contro l’abuso di contratti a termine. E ha stabilito – a differenza di quanto ormai sembrava certo alla luce della sentenza della Corte di Giustizia Ue del 2014 e di quella più recente della Corte Costituzionale del 20 luglio 2016, con cui ha ritenuto incostituzionale il sistema del reclutamento italiano – che ai lavoratori assunti a qualunque titolo, prima o dopo, grazie al o indipendentemente dal piano straordinario di assunzioni in ruolo per effetto della Legge 107, spetta solo la ricostruzione della carriera con i relativi scatti retroattivi (ovviamente solo se chiesta giudizialmente dagli interessati) ma non il risarcimento.
Altro che 15 mensilità. A meno che gli interessati non riescano a dimostrare (evenienza oltremodo remota) di avere subito un danno effettivo dal precariato, con tanto di prova da esibire, in merito al se e al quanto. Anche perché – pare di capire da una prima interpretazione della pronuncia –  l’assunzione in ruolo rappresenterebbe di per sé una sorta di risarcimento. Per quanto riguarda i docenti non ancora assunti e che hanno prestato servizio per oltre 36 mesi, i contratti al 31 agosto sono ritenuti illegittimi se reiterati per oltre 36 mesi, mentre i contratti al 30 giugno sono da considerare legittimi a meno che non si provi che di fatto ci sia stata una reiterazione abusiva, come nel caso che si sia prestato servizio nello stesso istituto per almeno 4 anni anche non continuativi.
In questo caso il risarcimento (ma non la stabilizzazione per via giudiziale) ci sarebbe, ma fino a 12 mensilità. Nulla di concreto invece per quanto riguarda gli iscritti nelle graduatorie d’istituto i quali possono ancora sperare in un’azione politica. Un sospiro di sollievo invece per quei docenti o colleghi Ata che siano riusciti a ottenere una sentenza favorevole prima della propria stabilizzazione e che la medesima sia nel frattempo passata in giudicato.
La Cassazione ha affermato che la riforma è “misura proporzionata, effettiva, sufficientemente energica ed idonea a sanzionare debitamente l’abuso” di contratti a termine e a “cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione europea”
Qualche dubbio invece rimane per le sentenze favorevoli che però debbano essere ancora discusse in appello. I giudici di secondo grado molto probabilmente non potranno non tenere conto dell’odierno orientamento della Cassazione Domani pubblicheremo un’ampia intervista all’avvocato Walter Miceli, legale dell’Anief. Con lui cercheremo di capire di più in merito a un pronunciamento che neutralizza anni di lotte, di successi e di entusiasmi che su queste colonne abbiamo raccontato fin da quando i precari riuscirono a farsi ascoltare dalle più alte istituzioni della giurisprudenza nazionale e sovranazionale. Lo stesso piano straordinario di assunzioni è stato peraltro indotto proprio dalla presa di posizione della Corte di Giustizia di Lussemburgo che il 26 novembre 2014, con una sentenza storica, aveva illuso il popolo numeroso dei precari della scuola.

Coordinamento del consiglio di classe non è obbligatorio per gli insegnanti. Sentenza e guida

Il Tribunale di Cosenza, in funzione del Giudice del Lavoro, ha annullato la sanzione disciplinare emessa da un Dirigente Scolastico ai danni di una insegnante che aveva rinunciato alla nomina di Coordinatore del consiglio di classe. 
Tale controversia nasce in occasione della riunione del consiglio di classe del suddetto Istituto. Infatti in questa circostanza il dirigente scolastico aveva nominato come Coordinatore del consiglio di classe la professoressa ***, la quale aveva dichiarato di non voler accettare tale nomina.
Da questo momento in poi intercorre un carteggio tra le due parti, nel quale la professoressa spiega che non potrà ricoprire tale incarico.
Non curante di ciò il Dirigente Scolastico avviava un procedimento disciplinare che culminava con il richiamo scritto a carico della docente.
Per tali motivi l’insegnante, difesa dall’ avvocato Giuseppe Mastrangelo del foro di Cosenza, decideva di impugnare la sopracitata sanzione disciplinare.
Nel riscorso presentato dall’ avvocato Mastrangelo si sottolinea la totale illegittimità  della sanzione emessa dal dirigente scolastico in quanto le mansioni di coordinamento rientrano negli obblighi dirigenziali e dunque esulano dai compiti del docente di Istituto, di conseguenza il Dirigente può si conferirli ad un docente, ma solo se quest’ultimo accetti tale compito.
Per tale motivo negli scritti difensivi si sottolineava la totale straordinarietà e facoltatività dell’ incarico di coordinatore, poiché quest’ultimo non rientra nella prestazione ordinaria. A sostegno di tale posizione veniva richiamato l’art. 52 del d. lgs. n. 165/2001 che testualmente recita: “Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni equivalenti nell’ambito dell’area di inquadramento”, allo stesso tempo il CCNL agli art. 28 e 29 non stabilisce alcuna obbligatorietà degli insegnati nell’ azione di coordinamento. In più, in merito alla legittimità del procedimento che aveva portato all’emissione del provvedimento impugnato, si eccepiva la mancata qualificazione “ ex ante ” della sanzione che sarebbe stata comminata nel caso di accertamento della violazione, poiché detta qualifica  doveva tener conto sia della gravità della violazione e sia della sanzione in concreto erogabile.
Il Capo d’Istituto, difeso dall’Ufficio Scolastico Regionale per la Calabria, nel costituirsi insisteva che la natura dell’incarico di coordinatore è di carattere doveroso. Per tali motivi il rifiuto della nomina da parte dell’insegnante costituiva una violazione dei principi di fedeltà e diligenza che il Codice Civile pone alla base degli obblighi attribuiti al lavoratore nell’ esecuzione della sua prestazione. Per tutte queste ragioni, dunque, il dirigente scolastico aveva ritenuto legittima e doverosa l’emissione del provvedimento sanzionatorio.
Ancora sulla mancata qualificazione “ ex ante ” della sanzione, il Capo d’Istituto nella propria memoria difensiva faceva presente che il  dirigente scolastico al fine di valutare la propria competenza (in merito all’ emissione della sanzione) deve esclusivamente limitarsi a inquadrare la fattispecie in relazione alla sanzione edittale astrattamente irrogabile sulla base della disciplina sanzionatoria normativamente prevista.
Il Giudice dl lavoro di Cosenza, dr. Lo Feudo, nella sentenza n. 18300 del 2016  resa il 2.11.2016 ha accolto le tesi difensive esposte dall’avv. Mastrangelo per l’insegnante.
Dunque il Giudice del lavoro nella sua sentenza decretava l’immediato annullamento della sanzione dell’ avvertimento scritto erogato ai danni della docente. La fondatezza del ricorso è stata stabilita poiché “E’ fondata, in particolare, la deduzione che esclude il carattere obbligatorio dell’attività delegata alla ricorrente ed il cui mancato assolvimento è stato posto a fondamento della sanzione disciplinare in questa sede impugnata”.
Quindi, il prevedimento emesso dall’ Autorità Giudiziaria stabilisce che la carica di coordinatore non è da considerarsi obbligatoria, infatti l’assenza di questa obbligatorietà è desumibile dalla lettura degli articoli 28, 29 e 30 del CCNL di comparto. In più nel suddetto provvedimento dell’ Autorità giudiziaria si legge chiaramente che “la figura del Coordinatore non è stata in alcun modo istituzionalizzata, essendo solo previsto, dal citato art. 25, comma 5°, del D. lgs n. 165/2000, che il dirigente possa avvalersi dei docenti, delegando loro specifici compiti. La mancata previsione legale del ruolo di coordinatore( che pure può essere individuato da un atto interno) esclude che le relative funzioni siano da ritenere doverose, con la conseguenza che, in difetto di una  fonte normativa (leggi, regolamenti, contratti collettivi; le circolari non sono fonti del diritto) l’incarico eventualmente attribuito può essere rifiutato. Stante la non doverosità dell’incarico di coordinatore ,dunque, la dirigente scolastica( la quale, non risulta abbia in alcun modo preso in considerazione le ragioni, personali e di carico di lavoro, che la ricorrente le aveva rappresentato, cfr. la documentazione in atti e le dichiarazioni dei testi escussi) avrebbe dovuto più opportunamente e nel contesto di un rapporto ispirato alla collaborazione con i docenti, sollecitare ed individuare, in sede collegiale, moduli organizzativi più flessibili (ad esempio turnazione). La reiterazione dell’ordine di servizio, dunque, non può ritenersi giustificata in assenza, giova ribadirlo, di una norma, avente dignità di fonte del diritto, che prevede e disciplini la figura del coordinatore e l’obbligo di assumere il relativo incarico”.
Per tali motivi, si legge nella sentenza che  “con il provvedimento in questa sede impugnato è stata, dunque, sanzionata una condotta che non può avere rilevanza disciplinare, non essendo previsto come obbligatorio lo svolgimento della specifica prestazione accessoria che il dirigente scolastico ha delegato alla ricorrente.”
Alla luce della sentenza riproponiamo la guida di OrizzonteScuola dalla quale si desume tutta la normativa in materia e il perché il ruolo di coordinatore non può essere imposto ai docenti

Il lavoratore che durante la malattia si assenta dalla propria abitazione non può essere automaticamente licenziato

Marco Barone - Pur essendo una questione che riguarda una vicenda maturata nel settore privato, i principi che emergeranno riguarderanno tutti i lavoratori, ivi inclusi quelli del PI.
Un dipendente di una ditta privata nel 2009 subiva un procedimento disciplinare relativo ad assenze per malattia poiché era tuttavia emerso in base alle disposte investigazioni nei giorni nei quali era assente per malattia, il lavoratore si spostava ripetutamente dalla sua abitazione, talvolta utilizzando addirittura l’automobile o un motociclo, nonostante l’asserita impossibilità di trasferimento extradomestici, detta contestazione alludeva a simulazione della denunziata malattia e comunque ad un comportamento inadeguato poichè fattore di rischio di aggravamento della patologia e di ritardo della guarigione.
Gli accertamenti investigativi disposti da parte datoriale si riferivano agli ultimi tre giorni della malattia durata due mesi, nel corso dei quali il lavoratore era stato sempre trovato a casa in occasione di sei visite di controllo. Il predetto, inoltre, era regolarmente rientrato al lavoro alla scadenza indicata nell’ultimo certificato medico.
La Cassazione con sentenza del 07-10-2016, n. 2021 entra nel merito della questione. “La Corte di Appello avrebbe dovuto esaminare la potenzialità pregiudizievole del comportamento osservato dal C., prescindendo dal rientro al lavoro di costui, tenendo presente esclusivamente la peculiarità della condotta nella specie osservata (uscite di casa, utilizzando anche autoveicolo e motociclo), in rapporto alle mansioni che il lavoratore sostenuto di non poter svolgere, ossia deambulare sino all’ufficio e rimanervi seduto alla scrivania; quindi, avrebbe dovuto poi valutare la compatibilità o meno della condotta tenuta in costanza di malattia con l’esistenza effettiva di tale stato morboso, ovvero con l’adempimento degli obblighi di diligenza, correttezza e buona fede nonchè lealtà, tali da preservare per tutta la durate delle sue assenze la propria salute al fine di poter raggiungere quanto prima la completa e definitiva guarigione.
Nulla di ciò era stato fatto, sicchè si era completamente omesso di operare un raffronto tra la specifica malattia denunziata e le altrettanto specifiche condotte contestate, laddove la Corte territoriale si era in effetti limitata a ritenere legittimo il comportamento del lavoratore, operando un giudizio ex post, ossia tenendo conto dell’avvenuto rientro al lavoro.(…)
Si era, in particolare, omesso di considerare che la natura della condotta andava valutata ex ante, in reazione alla natura dell’assunta patologia, sicchè a prescindere dal danno concreto subito occorreva accertare se il dipendente avesse usato la dovuta diligenza durante il periodo di assenza per malattia. La necessità di assentarsi dal lavoro era strettamente connessa non solo al diritto del lavoratore di curare la sua salute, ma altresì al suo dovere di agevolare quanto prima possibile la guarigione e dunque la ripresa della prestazione lavorativa, obbligo da osservarsi per l’intero periodo, anche in prossimità della guarigione, tanto più come nel caso di specie di lamentata malattia connessa a malformazioni congenite, con conseguente costante rischio d’insorgenza di stati d’infiammazione.
Nè era sufficiente che il lavoratore assente per malattia, sorpreso nell’espletamento di altre attività (fuori casa), giustificasse genericamente le proprie uscite, dovendo lo stesso dimostrarne la necessità e comunque la loro inidoneità a pregiudicare il recupero delle normali energie lavorative.
Ma nulla di ciò fatto il C., che non aveva provato alcuna particolare esigenza in ordine alle sue uscite extradomestiche, trattandosi di giustificazioni generiche ed evidentemente Inidonee a scriminare la sua condotta, avendo il lavoratore, fintantochè durano le sue assenze, l’obbligo di preservare la sua salute e di adottare ogni cautela necessaria a permettere il raggiungimento, nel più breve tempo possibile, della completa e definitiva guarigione. (…)
Per contro, almeno secondo buona parte della giurisprudenza, l’assenza del lavoratore dalla propria abitazione durante la malattia – oltre a dar luogo a sanzioni (quali la perdita del trattamento economico) comminate per violazione dell’obbligo di reperibilità facente carico sul lavoratore medesimo durante le cosiddette fasce orarie (D.L. n. 496 del 1983, art. 5, comma 14, conv. in L. n. 638 del 1983) – può (perciò non necessariamente) integrare anche un Inadempimento sanzionabile (nel rispetto delle regole del contraddittorio poste dall’art. 7 Stat. Lav.) con una sanzione disciplinare, ove la condotta del dipendente Importi anche la violazione di obblighi derivanti dal contratto di lavoro (Cass. lav. n. 3837 del 03/05/1997. V. altresì Cass. lav. n. 4448 del 06/07/1988, secondo cui l’assenza del lavoratore dalla propria abitazione durante la malattia – benchè possa dar luogo a sanzioni comminate per violazione dell’obbligo di reperibilità facente carico sul lavoratore medesimo durante le cosiddette fasce orarie L. n. 638 del 1983, ex art. 5, comma 14,tuttavia non integra di per sè un inadempimento sanzionabile con il licenziamento, ove il giudice del merito motivatamente ritenga che la cautela della permanenza in casa  benchè prescritta dal medico – non sia necessaria al fine della guarigione e della conseguente ripresa della prestazione lavorativa, trattandosi di obbligazione preparatoria, che è strumentale rispetto alla corretta esecuzione del contratto e come tale non è esigibile di per sè indipendentemente dalla sua influenza sullo svolgimento della prestazione lavorativa , senza che possa rilevare – al fine della valutazione della gravità dell’inadempienza del lavoratore e della conseguente sua configurazione come giusta causa o giustificato motivo soggettivo di licenziamento – la circostanza che l’inadempimento suddetto abbia pregiudicato, seppur gravemente, la attività produttiva e l’organizzazione del lavoro nell’impresa del datore di lavoro. V. ancora la già citata sentenza di questa Corte n. 5747 del 25/09/1986, secondo la quale la violazione degli obblighi di correttezza e buona fede, volti a consentire l’Esercizio del potere di controllo dalla L. n. 300 del 1970, art. 5, comma 2, legittima il licenziamento per giusta causa solo se, valutata non solo nel suo contenuto oggettivo ma anche nella sua portata soggettiva e in relazione alle circostanze del caso concreto, appaia meritevole della massima sanzione espulsiva, avuto riguardo al principio di proporzionalità stabilita dall’art. 2106 c.c.).”

Bonus 500 euro, come ottenere l’identità digitale. Una guida passo passo


Come ottenere l’identità digitale per accedere ed iscriversi alla piattaforma MIUR per ottenere il Bonus 500 euro ai fini dell’autoformazione dei docenti?


Ricordiamo che il codice SPID permetterà ai docenti di ottenere un’identità digitale, necessaria per la registrazione online nella piattaforma del Ministero (che sarà attivata entro il 30 di novembre:http://www.cartadeldocente.istruzione.it/) tramite la quale si potrà utilizzare la “Carta del Docente” contenente i 500 euro per l’auto formazione.
Per richiedere il codice bisogna sono necessari: un indirizzo e-mail, il numero di telefono del cellulare che si usa normalmente, un documento di identità valido (carta di identità o passaporto), la tessera sanitaria con il codice fiscale.
Si evidenzia che il gestore del servizio, a cui ci si rivolge, potrebbe richiedere di fotografare  e allegare il documento di identità e la tessera sanitaria nel format di registrazione.
Il soggetto, al quale rivolgersi per ottenere il codice, si può scegliere tra: InfoCert, Poste Italiane, Sielte o TIM
Pubblichiamo una guida che vi guida passo passo nell’utilizzo del servizio di Poste Italiane ai fini dell’acquisizione dell’identità digitale.
La guida è stata realizzata da Roberta Turri per I.C. Spinea 1. Vai alla guida Se non riesci a scaricarla, Fallo da qui

Occupazione delle scuole: sì alla validità dell’anno scolastico no al recupero dei docenti

martedì 22 novembre 2016

Marco Barone –
In tempo di crisi e problematiche sociali e politiche di varia natura, le scuole sono in pieno movimento. Un movimento che spesso apre la porta all'occupazione del plesso scolastico, in altri casi alla semplice autogestione o cogestione.
Sorgono spontanei dei dubbi, ovvero le azioni di protesta, in particolar modo quella dell’occupazione della scuola, se non consentono il raggiungimento della soglia minima dei 200 giorni per lo svolgimento delle lezioni, come previsto dall’articolo 74 comma 3 del Testo Unico della Scuola, pongono a rischio la validità dell’anno scolastico? Ed il personale della scuola è tenuto a recuperare i giorni di attività lavorativa non pienamente prestati a causa dell’occupazione?
Come è ben noto il diritto è interpretabile, a volte in modo restrittivo a volte in modo estensivo, non sempre ciò che è legale è legittimo, così come non sempre ciò che è legittimo è legale.Ma in realtà legalità e legittimità potrebbe coincidere.
La legge base di riferimento è l’ art. 74 D.Lgs 297/1994, che regola la durata dell’anno scolastico e le norme che attribuiscono alle regioni (art. 138 D.Lgs 112/98) la competenza di determinare il calendario scolastico e alle scuole (art.5 D.P.R. 275/99) la competenza di stabilire gli eventuali adattamenti del calendario rispetto al POF. Alle quali si devono aggiungere l’articolo 1218 e 1256 del C.c ed in particolar modo l’articolo 21 della Costituzione italiana, l’articolo 9,10 e 11 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali Firmata a Roma il 4 novembre 1950 (Testo coordinato con gli emendamenti di cui al Protocollo n. 11 firmato a Strasburgo l’11 maggio 1994, entrato in vigore il 01 novembre 1998 ).Cosa emerge dal combinato disposto di queste norme?
1) Legittimità dell’occupazione scolastica e validità anno scolastico
Dal punto di vista penale, i reati configurabili, o che di norma vengono contestati, in questi casi, sono l’ “invasione di terreni o edifici”, art. 633 c.p., l’ “interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità”, art. 340 c.p..Con sentenza del 30 marzo 2000la II sezione della Corte di cassazione è intervenuta sul punto rilevando che: Non è applicabile l’art. 633 alle occupazioni studentesche perché tale norma ha lo scopo di punire solo l’arbitraria invasione di edifici e non qualsiasi occupazione illegittima.
Affermando in particolar modo che L’edificio scolastico, inoltre, pur appartenendo allo Stato, non costituisce una realtà estranea agli studenti, che non sono dei semplici frequentatori, ma soggetti attivi della comunità scolastica e pertanto non si ritiene che sia configuratoun loro limitato diritto di accesso all’edificio scolastico nelle sole ore in cui è prevista l’attività scolastica in senso stretto. Sulla questione dell’interruzione del Pubblico Servizio il Tribunale di Siena, che recepisce l’orientamento che sembra essere maggioritario sul punto rileva che “Se la c.d. “occupazione” della scuola da parte degli studenti avviene senza modalità invasive, e cioè consentendo lo svolgersi delle lezioni e l’accesso degli addetti, non è configurabile il reato di interruzione di pubblico servizio, neanche se l’attività didattica si svolge con difficoltà ed in mezzo a confusione. Tribunale Siena, 29 ottobre 2001″.
Ma giunge notizia, a conferma di come il diritto sia volubile sul punto, che il 13 novembre 2012 alle ore 9,30, al Tribunale dei minorenni di Palermo, si è tenuta l’udienza n.245/12 R.G.U.P. che vedeva imputato uno degli
studenti che avevano guidato l’occupazione di un istituto superiore di Palermo nei mesi di novembre e dicembre 2010. Lo studente sarebbe stato condannato a “due mesi di giustizia riparatrice” presso l’Azienda Sanitaria Provinciale, per lo svolgimento di attività socialmente utili.
Dunque i rischi sussistono, ma essendo l’occupazione, l’autogestione o la cogestione, strettamente correlate ad un malessere sociale, finalizzate al conseguimento della realizzazionedi diritti costituzionalmente previsti, ma non sempre garantiti, compatibili con la formazione del processo educativo e formativo dello studente, riconducibili alla liberamanifestazione del pensiero, essendo lo studente parte attiva e non soggetto esternood estraneo alla realtà scolastica, queste forme di lotta sono legittime ed anche legali. Infatti, i periodi di occupazione, autogestione o cogestione, pur mutando le modalità con cui si esplicano le forme di protesta partecipata, ma non l’essenza, possono essere computabili ai fini delle assenze scolastiche salvaguardando anche il regime dei 200 giorni ex lege per la validità dell’anno scolasticoqualora l’occupazione rientri anche nei canoni della causa di forza maggiore. Ricordo che ai sensi della C.M. n. 20 del 4 marzo 2011, che definisce i criteri di calcolo delle assenze al fine della validità dell’anno scolastico per la valutazione degli studenti, il numero massimo di giorni di assenza consentiti (1/4 della durata dell’anno scolastico come previsto dal DPR 122/2009) non viene calcolato sul generico riferimento della durata media dell’anno scolastico (200 giorni)ma viene “personalizzato”.
E’ vero che delle note di vari Uffici scolastici Regionali riportano il seguente principio: Infatti, pur emergendo l’inderogabilità della disposizione circa i 200 giorni di scuola effettivi da osservare come“offerta formativa” delle Istituzioni Scolastiche del Primo e Secondo Ciclo di Istruzione. Ne consegue che in caso di esaurimento completo dei giorni obbligatori ed eccedenti i 200 minimi, le singole scuole dovranno deliberare in merito alla possibilità di recuperare i giorni necessari per il raggiungimento dei 200 giorni prescritti, o sottraendoli ai periodi di vacanza o prolungando le lezioni oltre il termine delle lezioni previsto dal Calendario Regionale. Ma nel caso in cui i giorni di occupazione non verranno reputati come giorni di assenza, cosa fattibile in sede di autonomia scolastica, realizzando il principio della piena partecipazione dello studente ai processi democratici fondanti la comunità scolastica, riconoscendo valenza formativa ai detti giorni, il problema del recupero non si pone.
D’altronde emerge anche un problema strettamente lavoristico.
2) Il personale scolastico deve recuperare i giorni ove la prestazione di lavoronon è stata pienamente possibile a causa dell’occupazione?
Se l’occupazione della scuola configura da un lato una diversa esplicazione di servizio pubblico, e nello stesso tempo il personale scolastico, per causa di forza maggiore, non dipendente dalla propria volontà, non ha potuto prestare la propria prestazione lavorativa, così come contrattualmente prevista, questo, in base all’articolo 1256 del CC che recita “L’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore [il lavoratore], la prestazione diventa impossibile. Se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo dell’adempimento”, ebbene non è tenuto ad alcun recupero, principio rafforzato anche dall’articolo 1218 del CC, ove in base anche allo stato di acquiescenza della situazioneda parte dell’Istituzione Scolastica verso l’occupazione, si desume che se l’impossibilità della prestazione non dipende da causa imputabile al debitore, l’obbligazione è estinta e il debitore (lavoratore) è liberato.
Dunque rischierebbero di essere illegittime ma anche illegali quelle delibere del Consiglio d’Istituto,su proposta o indicazione del Collegio docenti, che disciplinano il recupero dell’attività lavorativa non pienamente prestata o prestata in modo alternativo, durante il periodo dell’occupazione, allungando la durata dell’anno scolastico o da esercitate durante il periodo della ordinaria sospensione dell’attività didattica. A tal proposito è necessario ricordare che l’eventuale rimodulazione dei giorni di sospensione dell’attività didattica,ove si potrebbe deliberare il recupero dell’attività come sopra considerata, andrà condivisa con gli enti locali interessati, considerato l’evidente riflesso che tale decisione ha sull’organizzazione dei trasporti e sul funzionamento degli edifici scolastici.
L’ USR EMILIA ROMAGNA così si pronunciava in merito al problema neve ed interruzione dell’attività didattica.”In relazione agli eventi naturali che hanno comportato la perdita di giorni di lezione per la più parte delle Istituzioni scolastiche della regione, si ricorda che per consolidato orientamento già espresso da questa Direzione (vedi note prot. 18967 del 18.11.2002 e n.1743 del 15.2.2010) “L’anno scolastico resta valido anche se le cause di forza maggiore hanno comportato la discesa del totale al disotto dei 200 giorni”.
Anche Il MIUR, con la circolare numero 1000 del 22 febbraio 2012, forniva indicazioni alle scuole sulla validità dell’anno scolasticoe sugli eventuali adeguamenti dei calendari scolasticia seguito degli eccezionali eventi atmosferici considerati, ribadendo, come hanno già fatto diversi Uffici Scolastici Regionali, che “è fatta comunque salva la validità dell’anno scolastico”anche in caso di “discesa dei giorni di lezione al di sotto del limite dei 200” in conseguenza di “cause di forza maggiore”.
Conclusione.
L’occupazione può non essere considerata come assenza dello studente ed essere anche computata valida ai fini dei 200 giorni di lezionese fatta rientrare nell’ipotesi di causa di forza maggiore, può essere ritenuta come attività formativa ed educativa dello studente, come diversa ed alternativa esplicazione del processo formativo dello studente, senza pregiudicare la validità dell’anno scolastico, e le singole Istituzioni scolastiche possono, in base ai principi dell’autonomia, poiché nulla osta in tale senso, deliberare in questa direzione in armonia con le competenze Regionali in materia.
Il personale scolastico, essendo l’occupazione considerabile come causa di forza maggiore che rende non pienamente eseguibile la prestazione del lavoratore, essendosi manifestata, nel caso specifico lì ove non è stato attuato “sgombero”, anche accettazione da parte dell’Istituzione scolastica della situazione in essere, non è tenuto a recuperare alcun tipo di prestazione lavorativa, poiché sono pienamente estendibili in questo caso in via analogica le ipotesi riconducibili al non recupero della prestazione lavorativa per la chiusura della scuola causa neve, od altra forza maggiore, non esistendo d’altronde una tipizzazione della causa di forza maggiore nulla osta che anche l’occupazione scolastica possa essere ritenuta tale.
Infine sarebbe una conquista sociale e politica non da poco conto e basilare per ogni democrazia, riconoscere valenza formativa al processo di occupazione.

Abbandono di supplenza dalle GI. Quali sanzioni?

ai sensi dell’art. 8 del DM 131/07 l’abbandono del servizio comporta, a meno che non sia dovuto a giustificati motivi suffragati da obiettiva documentazione da far pervenire alla scuola, la perdita della possibilità di conseguire supplenze per tutte le graduatorie di insegnamento.
La sanzione vale solo per l’anno scolastico in corso.
In questo caso quindi non sarà più possibile ottenere proposte di supplenza dalle GI anche per altri posti o classe di concorso. 
Rimane invece la possibilità di essere convocati dalle GAE anche per la classe di concorso per cui si è subita la sanzione.

Bonus 500 euro: come e a chi richiedere codice SPID per registrazione piattaforma Ministero

lunedì 21 novembre 2016

 E'giunta la comunicazione ufficiale del Miur “Bonus 500 euro, chiarimenti Ministero: si potranno spendere a partire dall’attivazione della Card”, per la cui attivazione è necessario richiedere il codice SPID (Sistema Pubblico Identità Digitale).
Il codice SPID permetterà ai docenti di ottenere un’identità digitale, necessaria per la registrazione online nella piattaforma del Ministero tramite la quale si potrà utilizzare la “Carta del Docente” contenente i 500 euro per l’auto formazione.
COME E A CHI SI PUÒ’ RICHIEDERE IL CODICE SPID
Per richiedere il codice bisogna sono necessari: un indirizzo e-mail, il numero di telefono del cellulare che si usa normalmente, un documento di identità valido (carta di identità o passaporto), la tessera sanitaria con il codice fiscale.
Si evidenzia che il gestore del servizio, a cui ci si rivolge, potrebbe richiedere di fotografare  e allegare il documento di identità e la tessera sanitaria nel format di registrazione.
Il soggetto, al quale rivolgersi per ottenere il codice, si può scegliere tra: InfoCertPoste ItalianeSielte o TIM
Diverse, a seconda del soggetto scelto, sono le modalità di richiesta del codice SPID.
InfoCert
Se si sceglie InfoCert, il rilascio del codice SPID è a pagamento (euro 19.90); la richiesta può avvenire tramite webcam e con l’ausilio di un operatore, che guiderà alla registrazione, o di persona recandosi all’ufficio più vicino per concludere la registrazione e ottenere le credenziali.
Poste Italiane
Il rilascio del codice da parte di Poste Italiane è gratuito (a meno che si richieda il servizio a domicilio) e può avvenire tramite due diverse modalità: online o in presenza.
La prima modalità può essere scelta da chi è cliente online Bancoposta, che può utilizzare il cellulare certificato o il lettore di carte Postamat per ottenere online l’identità SPID.
Il rilascio del codice in presenza prevede prima una registrazione sul sito di Poste Italiane; poi ci si deve far identificare e certificare con il proprio cellulare presso un qualsiasi ufficio postale.
Qualora nel corso della registrazione si richieda il servizio a domicilio effettuato dai portalettere, il servizio avrà un costo di euro 14,50. Il  portalettere raggiungerà il domicilio indicato entro 5 giorni lavorativi successivi alla registrazione sul sito.
SIELTE
Scegliendo SIELTE, il rilascio del codice SPID è gratuito e può avvenire tramite due diverse modalità: online o in presenza.
Per la richiesta e il rilascio online del codice è necessario disporre di una webcam; saranno gli operatori a fornire le informazioni necessarie.
Se si sceglie la modalità in presenza, ci si deve recare all’ufficio più vicino per concludere la registrazione e ottenere le credenziali.
TIM
Scegliendo TIM, si potrà ottenere il codice tramite due diverse modalità: online o call center. In entrambi i casi il servizio è gratuito.
Nel caso si scelga la modalità online, è possibile utilizzare la firma qualificata o digitale, la carta nazionale dei servizi (CNS) o la carta di identità elettronica preventivamente abilitate per fare la richiesta. Presto saranno disponibili altre modalità.
Se si sceglie di richiedere il codice tramite call center, bisogna telefonare al numero 800.405.800 – dal Lunedì al Venerdì dalle 9:00 alle 18.30 e seguire le istruzioni degli operatori.

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Accorpamento classi per assenza del docente e utilizzo improprio dell’insegnante di sostegno: come difendersi

Non è previsto dalla normativa vigente l’accorpamento di due classi (o di parti di una con altra classe) in caso di assenza di un docente, ed è altrettanto illegittimo l’utilizzo improprio del docente di sostegno, eppure molti Dirigenti scolastici continuano ad operare in questo modo per sopperire alla mancanza di personale in caso di assenza. 
Le leggi degli ultimi anni, con l’introduzione del maestro unico alle elementari e con la riconduzione a 18 ore di tutte le cattedre della scuola media e superiore, non hanno previsto la possibilità di sostituzione immediata del personale docente assente, benché la malattia è routine e non un evento eccezionale o straordinario, in quanto l’essere umano non essendo una macchina a volte si può ammalare.
L’Amministrazione assegna annualmente alle scuole le risorse per le ore eccedenti (qualche decina) e quelle per le supplenze da utilizzare al bisogno. Appare risibile la manciata di risorse per le ore eccedenti, in quanto si esaurisce in poco tempo, mentre non risultano utilizzabili per il primo giorno di malattia del docente le risorse per le supplenze lunghe, considerato che questo tipo di sostituzioni richiedono del tempo per la ricerca del supplente.
Per questi motivi, in caso di assenza del docente, fino a quando non viene trovato il supplente, i Dirigenti scolastici non avendo sufficienti risorse per pagare le ore eccedenti ai docenti che eventualmente si rendono disponibili per sostituire il collega assente, illegittimamente accorpano le classi (o di parti di una con altra classe) e utilizzano in modo improprio l’insegnante di sostegno.
In questo modo, la carenza dell’Amministrazione che non assegna alle scuole sufficienti risorse per le ore eccedenti, anziché essere contestata dai Dirigenti scolastici , viene scaricata sul personale docente in servizio esponendolo a gravi rischi dal punto di vista penale e patrimoniale .
Infatti, se è vero che ai sensi dell’art. 2048 del Codice civile il docente è responsabile degli alunni che gli vengono affidati ( nella classe in cui insegna ), non si può affermare che gli alunni della classe del docente assente ricadono sotto la responsabilità dei docenti presenti quel giorno a scuola . Semmai ricadono, invece, sotto la responsabilità del Dirigente scolastico che fin dall’inizio dell’anno scolastico deve prevedere la sostituzione ( ricercando la disponibilità ad effettuare ore eccedenti e prevedendo un quadro giornaliero di sostituzioni ) del docente assente .
L’assenza per malattia è routine e come tale va considerata nell’organizzazione del servizio, non è una cosa eccezionale .
Facendo un parallelismo con l’uso dell’automobile , il cui uso quotidiano è legato alla presenza di cinque ruote compresa quella di scorta ( purtroppo a volte capita di forare una delle quattro ruote in uso ), la scuola per funzionare usa solo quattro ruote ( quella di scorta è stata buttata via dalla legge 133/2008 che ha introdotto il maestro unico o prevalente e ha eliminato le poche ore a disposizione che alcune discipline prevedevano ) e in caso di foratura cerca di “fregare” ( assenza del docente ) una ruota alla prima auto parcheggiata nei paraggi ( il malcapitato docente presente che opera con la sua classe ).
Dopo aver considerato tutto ciò, purtroppo, siamo costretti a denunciare la grave situazione in cui versa la scuola trevigiana dove, a dispetto di quanto previsto dal Decreto Ministeriale del 18 dicembre 1975 riguardo i parametri di agibilità e igienico-sanitari delle scuole, in caso di assenza del personale docente, è consuetudine l’accorpamento delle classi e l’anomalo utilizzo dell’insegnante di sostegno su disposizione del Dirigente scolastico. Questa prassi “anomala” ( vietata da circolari ministeriali e territoriali – cfr. nota MIUR prot. n. 9839 del 08.11.2010, nota UST Bari prot. 76/1c del 04.05.2011 ) comporta per il personale docente l’assunzione di responsabilità penali e patrimoniali non previste, e mette a repentaglio la sicurezza degli stessi alunni pregiudicandone il diritto allo studio.
Certo fino a quando non ci scappa l’incidente grave o il morto (la cronaca quotidianamente ormai riporta incidenti nelle scuole italiane) le cose sono destinate ad andare avanti per inerzia .
Per questi motivi è opportuno che il personale docente prenda delle precauzioni per salvaguardare la propria responsabilità penale e patrimoniale nel caso in cui il Dirigente scolastico accorpi due classi (o di parti di una con altra classe) per l’assenza di un docente, o illegittimamente utilizzi impropriamente il docente di sostegno.
Per far questo si può operare in due fasi :
FASE 1
Presentare all’inizio dell’anno scolastico o immediatamente il modello Fase 1 con cui si chiede al Dirigente scolastico un ordine di servizio scritto ogni qualvolta vengano affidati alunni provenienti da altre classi;
FASE 2
Nel momento in cui si presenterà l’assegnazione di alunni provenienti da altre classi mediante il 1° ordine di servizio, fare atto di rimostranza scritto mediante presentazione del modello Fase 2 (ai sensi dell’art. 17 del DPR 3/1957) affermando di accettare gli alunni di cui trattasi solo dopo aver ricevuto il 2° ordine di servizio.
Si precisa che per la Fase 2 possono essere utilizzati modelli diversi a seconda se si sta operando in qualità di:

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martedì 15 novembre 2016 · Posted in

nessun potere disciplinare ai dirigenti podestà

I dirigenti scolastici non possono sospendere i docenti. È questo il principio affermato dal Tribunale di Foggia con una sentenza depositata il 27 ottobre 2016 (sentenza 7331/2016) che ha anche condannato l'amministrazione scolastica alle spese legali. La pronuncia si colloca nell'ambito di un vero e proprio orientamento assunto dalla giurisprudenza di merito in diverse occasioni (Tribunale di Ferrara 27.08.2010 n.3299, si veda Italia Oggi del 22.11.2011 e Tribunale di Lodi, 3.11.2015 n. 252. Si veda Italia Oggi del 17.11.2015). Il giudice del lavoro di Foggia ha spiegato che i dirigenti non hanno titolo a sospendere i docenti, perché la loro competenza si esaurisce nella possibilità di irrogare sanzioni che non vadano oltre l'avvertimento scritto e la censura.
Pertanto, quando il comportamento antidoveroso assunto dal docente potrebbe integrare una responsabilità disciplinare tale da determinare l'applicazione di una sanzione sospensiva, il dirigente deve limitarsi agli aspetti procedurali, provvedendo a trasmettere tempestivamente gli atti all'ufficio per i provvedimenti disciplinari costituito presso l'ufficio scolastico territorialmente competente. La copiosa giurisprudenza formatasi a tale riguardo ha censurato ripetutamente l'interpretazione adottata dal ministero dell'istruzione con la circolare 88/2010. Secondo l'amministrazione, infatti, il dirigente scolastico e l'ufficio per i provvedimenti disciplinari avrebbero entrambi competenza ai fini dell'irrogazione delle sanzioni disciplinari applicabili a seguito dell'accertamento di infrazioni connotate da gravità. Fermo restando, però, che la sanzione in concreto applicabile dal dirigente scolastico non può eccedere i 10 giorni. Tesi, questa, che la giurisprudenza ritiene non legittima.
Perché il decreto Brunetta fa espresso riferimento alla sanzione edittale astrattamente prevista, lasciando impregiudicata la piena vigenza dell'art.498 del testo unico. Che, per contro, non contempla la sanzione della sospensione fino a 10 giorni. Sanzione, questa, prevista nel contratto di lavoro solo nei confronti del personale Ata.
In buona sostanza, la giurisprudenza di merito (da ultimo anche il Tribunale di Foggia) è costante nel ritenere che il giudice debba attenersi ai principi di tipicità e tassatività della sanzione. Secondo i quali, per punire un lavoratore, è necessario che la sanzione sia espressamente prevista da una norma di legge o di contratto. E ciò vale sia per quanto riguarda l'esplicitazione del collegamento tra il comportamento antidoveroso e l'applicazione della sanzione sia per quanto riguarda l'individuazione dell'autorità datoriale competente ad infliggerla e il procedimento da seguire al fine di garantire il diritto di difesa. In più, siccome le norme punitive sono norme speciali per definizione e, come tali, sono insuscettibili di interpretazione analogica, fino a quando l'ordinamento non prevedrà esplicitamente la sanzione della sospensione dal servizio (che è cosa diversa dalla sospensione dall'insegnamento) anche per i docenti, i dirigenti non avranno competenza in tale materia.
In altre parole, i giudici del lavoro sono ormai costanti nel ritenere che la disciplina applicabile ai docenti non sia quella del decreto Brunetta. Ma quella più rigorosa ed afflittiva prevista dal decreto legislativo 297/94: il testo unico dell'istruzione. Il decreto Brunetta, infatti, contempla un sistema di sanzioni che non prevede effetti sulla progressione economica di anzianità.
E non prevede nemmeno preclusioni per quanto riguarda l'accesso ai concorsi dirigenziali. Cosa che invece è espressamente prevista dal testo unico dell'istruzione in caso di sospensioni.
La maggiore severità delle sanzioni previste dal decreto legislativo 297/94 è bilanciata, però, dalla garanzia della terzietà del giudizio disciplinare. Perché quando si tratta di infliggere sospensioni, l'organo competente è l'ufficio per i provvedimenti disciplinari costituito presso l'ufficio scolastico e non il dirigente scolastico. Il principio è stato adottato non solo dai giudici di primo grado, ma anche dalla Corte d'appello di Torino con una sentenza depositata il 7 novembre 2013 (n.1079). Sentenza con la quale il collegio capovolse l'esito di una sentenza emessa dal Tribunale della stessa città il 10.9.2012 (sentenza n. 2818/12). Fin qui la disciplina sostanziale.
Quanto alle questioni procedurali, non sono poche le sentenze di condanna dell'amministrazione anche per il mancato rispetto di termini e adempimenti. Le soccombenze vanno dal mancato rispetto dei termini (tra le tante, si veda l'ordinanza ex art.700 c.p.c. del Tribunale di Benevento del 2.5.2012) all'omessa notizia all'incolpato della trasmissione degli atti all'ufficio per i provvedimenti disciplinari (Tribunale di Cuneo, sentenza 7.3.2012, n. 43) e all'omissione dell'instaurazione del contradditorio (Tribunale di Cosenza, sentenza 1098/2012) in particolare per quanto riguarda la contestazione degli addebiti (Tribunale di Lagonegro, sentenza 16.01.2013, n.19).

la formazione non è obbligatoria, nonostante la 107....

Il comma 124, dell'articolo 1, della legge 197/2015, qualifica la formazione dei docenti alla stregua di obbligatoria. 
Risultati immagini per arbeit macht freiLa legge non quantifica le ore da destinare a tale scopo e, allo stato attuale, è stato emanato solo il piano nazionale di formazione. Tale piano, per dispiegare effetti in termini di obbligatorietà, dovrebbe essere affiancato da un provvedimento legislativo nel quale dovrebbe essere indicata anche la retribuzione spettante e la quantificazione dell'impegno orario. 
Nel nostro ordinamento, infatti, il lavoro gratuito non è consentito. Tale principio discende dall'articolo 36 della Costituzione e dall'art. 2113 del codice civile. In assenza di tale provvedimento, dunque, valgono le disposizioni del vigente contratto di lavoro (si vedano gli articoli 63 e 64) che qualificano la formazione e l'aggiornamento come diritto e non come obbligo. 
Di qui la facoltatività della frequenza alle relative attività.

GRAVE INTIMIDAZIONE NEOFASCISTA AI COBAS E AL CENTRO SOCIALE GERMINAL CIMARELLI

Nella notte tra domenica e lunedì 7 novembre una squadraccia neofascista si è introdotta nella sede del Centro Sociale Germinal Cimarelli.
Dopo aver devastato alcuni locali del centro sociale con vernice nera e scritte inneggianti ad Hitler questi personaggi hanno sfondato la porta della sede della Confederazione Cobas di Terni che si trova al primo piano del centro sociale di via del Lanificio, hanno gettato a terra oggetti, hanno tracciato delle scritte nella sede e hanno lasciato in bella vista sulla scrivania dell’organizzazione sindacale un grosso coltello con tracce di vernice rossa.
Consideriamo questo un atto grave frutto di una penosa ideologia con cui abbiamo fatto i conti oltre 70 anni fa.
Nonostante il chiaro scopo intimidatorio, i Cobas rivendicano e ribadiscono il loro totale impegno nelle lotte a favore dei lavoratori, dei precari , dei disoccupati, dei migranti, per la difesa della scuola pubblica e dell’ambiente e contro i progetti affaristici che attaccano la salute pubblica ed il territorio, come gli inceneritori o il nefasto acquedotto sul Nera.
L’esecutivo Provinciale dei Cobas della scuola considera fuori dalla storia questo penoso tentativo di intimidazione e queste azioni squadristiche che continuano a caratterizzare le pratiche delle organizzazioni neofasciste, intrise di razzismo ed esaltazione del nazismo, nonostante le facciate perbeniste presentate in pubblico.
Continueremo la nostra attività antifascista ancora più consapevoli della necessità di ricacciare queste carogne nelle fogne della storia da cui provengono, seguendo l’esempio del partigiano Germinal Cimarelli che dà il nome alla struttura dove -come sindacato di base- abbiamo scelto di collocare la nostra sede, in bel un quartiere operaio e multietnico offeso da questo atto vandalico.

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