Pochi sanno o ricordano che Italia-Inghilterra, allora sentitissimo incontro valevole per la qualificazione ai mondiali del ’78, fu giocata nel 1976 un novembre di mercoledì alle 14,30 e senza diretta televisiva. Allora passò la linea nel governo, presieduto da Andreotti con l’appoggio esterno del Pci, che il paese dovesse adottare la linea del rigore dei costumi e dei comportamenti. Una partita con la diretta televisiva, si disse all’epoca, avrebbe favorito l’astensionismo dal lavoro in un periodo di grave recessione economica (si era nel bel mezzo di due shock petroliferi). Finì come sarebbe finita più o meno oggi: chi poteva si attaccò alla radio, oggi si sarebbe attaccato ad Internet, e i parlamentari andarono a vedere la partita gratis.
Le misure di accorpamento e di abolizione delle feste in questo paese sono sempre una misura punitiva verso la popolazione, non a caso Napolitano la vestale del “rigore” di oggi faceva lo stesso mestiere di predicatore governativo di austerità anche allora, e hanno dubbia o nulla efficacia economica. Anzi nelle economie di oggi hanno un peso negativo. L’Italia non è più un paese industriale come negli anni ’70 del ‘900 e feste e ponti servono per nutrire la redditizia industria del loisir e del tempo libero. Infatti i primi a protestare contro il tentativo di accorpamento sono state regioni fortemente interessate all’economia dei ponti festivi (come la Liguria) e le associazioni di categoria locali legate al turismo e al settore alberghiero. Queste sarebbero le prime categorie a pagare una misura esclusivamente punitiva (rispetto a cosa non si sa ma quando c’è crisi l’importante è dare un’impressione di autorevolezza punendo) visto che a livello produttivo, e di sviluppo tecnologico, oggi due o tre giorni di lavoro in meno non cambiano niente a livello di Pil.
Per intendersi su quanto danneggino la popolazione misure estemporanee come questa dell’abolizione delle feste civili, altre categorie a rischio sono quelle dei cittadini che hanno stabilito un contratto per l’erogazione di elettricità a tariffe biorarie. In questo caso i contatori sono programmati elettronicamente, a suo tempo ci sono voluti due anni per farlo, e c’è il fondato rischio che nella primavera 2012 sballi completamente la regolare tariffa bioraria. Come già avvenuto per il 17 marzo quando, per la festa improvvisa (e decisa all’ultimo momento) dei 150 anni dell’unità d’Italia, milioni di persone si sono trovate a pagare una salata tariffa piena perché i contatori elettronici (non facilissimi da regolare a causa di una serie di procedure tecniche e giuridiche) calcolavano il giorno come feriale. Questo per dare un’idea di come si danneggi a fondo le più disparate categorie con decisioni punitive, avventate fatte per l’effetto annuncio in televisione e senza alcuna idea di come funzioni davvero un paese. E questi portati sono soltanto esempi: nelle società complesse cambiamenti radicali di abitudini e calendario decise con un tratto di penna si possono immaginare solo in qualche festa padana, tanto per rabbonire i leghisti che cominciano a contestare il capo, o nelle menti di qualche stratega di un neoliberismo che esiste solo nelle proprie meningi.
Ma cosa accadrà alle feste in questione? Saranno abolite, differite o accorpate? E con quali effetti sulle festività in busta paga?
Il decreto, firmato da Napolitano nelle ore di ferragosto, stabilisce la classica linea Tremonti dello strangolamento e delle piccole concessioni alle varie categorie colpite dal provvedimento. Secondo uno schema che vuole prima l’effetto annuncio in televisione, poi un decreto reale che rimanda il problema e poi ricatti e piccoli colpi di scena, a ritmo di dichiarazioni contraddittorie del ministro, fino al momento dell’entrata in vigore dei provvedimenti. E’ accaduto così con i finanziamenti ai quotidiani proprio da parte di un uomo, Tremonti, che Bersani nell’estate 2010 aveva proposto come presidente del consiglio.
Infatti il decreto prevede al momento che, ogni anno, il 30 novembre il presidente del consiglio emetta un altro decreto che regola le disposizioni di legge per le festività civili dell’anno successivo. Inviolabile la befana, che fu abolita nel 1977 da Andreotti e reintrodotta da Craxi nel 1985, ed ogni tipo di festività religiosa in vigore entro il 30 novembre di ogni anno verrà deciso se differire il 25 aprile, il primo maggio e il 2 giugno al venerdì, al sabato al lunedì o accorpare una o più date direttamente alla domenica. Come dicevamo è il metodo Tremonti, trattare con tutte le categorie interessate al provvedimento fino all’ultimo per fiaccarle e separle al momento della decisione. Che questa volta sarà anche legata alla piena dimensione della simbolica politica. Se l’autunno sarà caldo sarà facile, sotto la spinta dei media forcaioli (praticamente tutti), fare campagna per accorpare 25 e primo maggio alla domenica per non fare concessione ai “violenti” (che in Italia oggi coincidono con chiunque protesta contro provvedimenti liberticidi).
Insomma, una serie di feste e ricorrenze a fondamento della cultura democratica di un paese sono messe politicamente in discussione e in giudicato da un governo che il 25 aprile non l’ha mai celebrato, figuriamoci il primo maggio, e dalla sua componente che sogna la Padania. Quanto alle festività in busta paga previste per il 2012 l’esempio dei consumatori di elettricità a tariffa bioraria serve come monito. In questo caos normativo, con un governo che di fatto ha abolito statuto dei lavoratori e contratto nazionale, niente è garantito. Specie se la crisi peggiora e c’è bisogno di nuovi “esempi” da dare alla popolazione.
Ma il danno più grave è quello solo apparentemente simbolico. Il 25 aprile, il primo maggio e il due giugno sono cerimonie che celebrano la validità della costituzione e dei diritti fondamentali che dovrebbe garantire. Questo governo vuole riformare l’articolo 41 della costituzione, quello che limita lo strapotere dell’impresa, e l’articolo 81 inserendo il pareggio di bilancio, quindi proprio il liberismo che sta agonizzando in queste settimane in tutto il mondo, nel dettato costituzionale. Quest’ultima misura è stata chiesta dal sindacato, nella famosa conferenza stampa in cui si è fatto rappresentare da Confindustria, e promossa proprio dalla Germania. Infatti Merkel e Sarkozy, che hanno commissariato l’Italia come ormai si dice pacificamente sui giornali e in parlamento, l’hanno chiesta assieme e pubblicamente per tutti i paesi europei. Indebolire il potere simbolico del 25 aprile, del primo maggio e del 2 giugno è aprire coscientemente la strada ad una modifica autoritaria della costituzione fatta per impoverire la popolazione secondo, oltretutto, i dettami di un liberismo agonizzante.
Non resta che opporsi a queste misure sia squallide che inique. Per ristabilire un principio di libertà ed eguaglianza in questo paese. E non resta infine che fare un bell’applauso a Giorgio Napolitano che ha firmato un provvedimento che prevedeva l’abolizione di fatto del primo maggio ristabilendo una linea di continuità con la proibizione della festa dei lavoratori decisa negli anni ‘20 dal governo Mussolini. D’altronde, ai tempi del governo Andreotti del 1976, uno dei più liberticidi della storia d’Italia, Napolitano era l’ambasciatore di chi sosteneva l’esecutivo dall’esterno presso la presidenza del consiglio. Un particolare dal passato che aiuta molto a capire la storia di questo paese e i problemi di oggi.
tratto da www.senzasoste.it