Di fronte a 
questa possibilità, nei giorni scorsi, si è assistito a un effluvio di lettere 
ai giornali di professoresse. Tra le più belle, appassionate e 
argomentate, segnalo la lettera al ministro Profumo della prof Mariangela 
Calateo Vaglio, nel suo blog sull’Espresso intitolato “Non volevo fare la 
prof”. Un governo che 
d’imperio minaccia di stracciare un contratto di lavoro per imporne un altro, 
senza contrattazione, compie un atto gravissimo. Ogni commento è superfluo: siamo alle 
barbarie.
D’altra 
parte, è interessante analizzare questa reazione docente. Per lo più scomposta, occorre dirlo. Spesso la sacrosanta alzata di scudi delle prof 
assomigliava a chi improvvisamente si svegliasse da anni di letargo. 
Non voler passare da 18 a 24 ore settimanali, se 
non si spiega bene, rischia di essere 
difficile da comprendere da un’opinione pubblica addestrata per anni da 
media e politici all’esercizio delle denigrazione della scuola 
pubblica e dei suoi docenti, senza che la maggioranza di questi ultimi, fino ad ora, 
abbia sentito l’esigenza di scrivere lettere ai giornali e protestare 
efficacemente.
Soprattutto, 
mi pare che questa protesta metta in luce le 
ataviche debolezze del corpo docente italiano, di gran lunga più inerme di 
quello dei taxisti o dei camionisti, degli avvocati o degli operai. Quali? La divisione. 
L’individualismo. L’incapacità di far gruppo. La pochezza politica. La 
paura. E pur prendendomi ugualmente del maschilista, non credo che questo 
accada perché la maggior parte è femminile. Se si 
confrontano i livelli di indignazione con i numeri della partecipazione dei prof 
e dei docenti in genere, per esempio al recente sciopero della scuola della 
Cgil, personalmente abbastanza deludenti 
rispetto al disastro che si sta abbattendo sull’intera scuola pubblica, 
la latitanza politica – in senso partecipativo, non 
di appartenenza a un sindacato o a un partito – è lampante.
Le 
responsabilità di quanto sta accadendo è legato anche a quanto i docenti hanno 
lasciato fare: dobbiamo ammetterlo, anche 
come docenti. Alla diffidenza verso gli 
scioperi che ha la stragrande maggioranza. All’estrema diligenza con la quale avviene ogni loro 
forma di protesta e di lotta. Occorre 
ricordare loro – ricordarci – che la scuola che si trovano a lavorare ora, non è sempre 
stata così, ma è il frutto di lotte di anni e anni di tanti, – docenti, genitori, studenti, sindacati, politici, 
– hanno fatto prima di loro senza guardare al loro 
solo particolare. E in questo 
periodo, se i diritti non vengono 
salvaguardati, se non avviene una loro 
costante e accurata manutenzione, semplicemente, ormai lo dovremmo aver capito tutti, vengono 
tolti.
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