Relazione letta all’incontro Students are not consumers. Challenging marketization and the logic of profit in higher education, Bruxelles, Parlamento Europeo, 8 marzo 2018, organizzato dal gruppo parlamentare europeo GUE/NGL.
I dirigenti di questi istituti hanno, in modo diverso, attribuito la responsabilità di queste parole alla struttura dei documenti, la cui responsabilità ricade sul Ministero. Una toppa peggiore del buco, perché si tratta di espressioni inserite in uno spazio che richiedeva un commento descrittivo e sintetico – dunque rileva a maggior ragione quel che c’è. Ma che mostra la realtà materiale del processo di produzione di queste presentazioni, e chiama in causa quello stesso ministro che si è affrettato a stigmatizzare questi RAV evocando l’art. 3 della Costituzione. Queste griglie, e le parole che le riempiono, sono il frutto di anni nei quali le scuole sono state spinte a farsi concorrenza, a rendersi appetibili agli occhi della cosiddetta utenza valorizzando determinateperformance– una fra tutte: i risultati dei test di valutazione degli apprendimenti, che valorizzano le scuole con pochi studenti stranieri. Nella logica delmarketinge della valutazione quantitativa, è inevitabile che prevalga la considerazione del punteggio più alto alla scuola frequentata da studenti socialmente ben selezionati, piuttosto che la valorizzazione del lavoro qualitativo della scuola che opera in favore dell’inclusione, dell’apprendimento dei fondamenti linguistici e cognitivi del diritto alla cittadinanza: la scuola che si sporca le mani con i migranti di prima e seconda generazione.
Analizzando i rapporti Indire sull’abbandono scolastico, che nell’arco del quindicennio del percorso d’istruzione raggiunge in Italia il 30%, si trovano evidenze che
L’abbandono scolastico è statisticamente legato al titolo di studio conseguito dalla famiglia di appartenenza. I figli di coloro che hanno al massimo il diploma di terza media hanno un tasso di abbandono scolastico del 58,1%, che si riduce al 30,1% tra i ragazzi i cui genitori hanno un titolo di maturità e al 13,2% quando i genitori hanno la laurea. La tendenza si incrocia con il profilo professionale della famiglia, perché di nuovo un terzo dei ragazzi che abbandonano appartiene a famiglie in cui i genitori sono disoccupati o svolgono un lavoro non qualificato, mentre il dato tende a diminuire al salire del grado di occupazione familiare [Roberto Contessi,Scuola di classe, Laterza, 2016, pp. 16-17].
Tranne che nella partecipazione alla scuola dell’infanzia, dice il rapporto [UrBes 2015], per tutti gli indicatori si registra un netto svantaggio del Mezzogiorno rispetto al Nord e al Centro. La quota di diplomati è del 51,4% nel Mezzogiorno rispetto al 63,1% del Centro e al 60% del Nord. Allo stesso modo, la quota di persone di 30-34 anni che hanno conseguito un titolo universitario è del 26,4% al Centro, del 23,9% nel Nord e solo del 20,5% nel Mezzogiorno. Il divario più forte si riscontra però per la quota di giovani che non studiano e non lavorano (Neet) che si attesta, nel 2011, al 31,4% nel Mezzogiorno rispetto al 15,2% del Nord e al 19,2% del Centro [fonte:Istruzione, cresce il divario Nord-Sud, “Il sole 24 ore”, 24/04/2015].
Il sottosviluppo non è soltanto il “non-ancora” sviluppo; ma non è neppure solo il “prodotto” dello sviluppo. Esso è una funzione dello sviluppo capitalistico: una sua funzione materiale e politica. Sviluppo è infatti quello del potere capitalistico sulla società nel suo insieme, del suo “governo” della società [Luciano Ferrari Bravo,Forma dello stato e sottosviluppo, in L.F.B., Alessandro Serafini,Stato e sottosviluppo(1972), ombre corte, Verona 2007, p. 29].
Una segmentazione messa in luce da una pluralità di rapporti sulla povertà in Italia, che attestano l’allargamento della forbice fra ricchi e poveri, con un «peggioramento addirittura catastrofico, per almeno tre categorie cruciali: i minori, gli operai, e i membri di “famiglie miste”» [Marco Revelli,Italia, a che punto è la notte, “il manifesto”, 16.07.17]. Aumenta la povertà assoluta fra i minori – fra i quali la povertà è quadruplicata in 10 anni; fra iworking poor, «dove si può leggere con chiarezza l’effetto-Renzi e l’impatto del Jobs Act sul potere d’acquisto e sulla stabilità del lavoro»; e fra «le “famiglie miste”, quelle in cui cioè uno dei due coniugi è un migrante: nel loro caso la povertà assoluta è quasi raddoppiata nell’Italia settentrionale (dal 13,9 al 22,9%) e quella relativa ha raggiunto nel Meridione il 58,8% (era il 40,3 nel 2015), con buona pace di chi ha fatto dell’urlo tribale “Perché a loro e non a NOI” la propria bandiera e considera privilegio lojus soliin nome della propria miseria». In altri termini, i dati della lieve ripresa economica attestano che il motore di questa ripresa è lavampirizzazionedella ricchezza sociale dei poveri, ai quali viene tolto persino il necessario per dare ai ricchi. Ci sarebbe da stupirsi se non si manifestasse la tendenza a una segmentazione educativa – per dirla con franchezza: licei per i figli della borghesia, istruzione professionale per i proletari, i migranti, i poveri, – che si riflette in quei Rapporti di AutoValutazione sopracitati.
La piattaforma è un mediatore evanescente: la sua azione di connessione e direzione sembra svolgersi in maniera impersonale al servizio degli interessi dei consumatori che acquistano un pasto (Deliveroo, Foodora), si muovono in auto in città (Uber, Lyft), affittano un appartamento (Airbnb). Ai consumatori è riconosciuta la libertà di valutare il servizio ricevuto, perché così dimostrano uno stile di vita a partire dal prodotto scelto [Roberto Ciccarelli,Forza lavoro. Il lato oscuro della rivoluzione digitale, Derive e Approdi, 2018, pp. 163 sgg].
Non è un caso se, sin dalla scuola superiore, agli studenti oggi è insegnato a gestire un «portfolio delle competenze», insieme alcurriculum vitae. Il compenso per un apprendimento lungo una vita non è il salario o l’onorario, ma il riconoscimento del merito in quanto tale [R. Ciccarelli, cit.].
Peraltro, che le competenze abbiano una reale consistenza e un apprezzabile statuto epistemologico è una petizione di principio, dal momento che, come attesta una vasta letteratura, una competenza in quanto tale non è osservabile allo stato puro: sono osservabili pratiche, comportamenti, vissuti e prestazioni dai quali si dovrebbe desumere quella proprietà che, come il flogisto o l’etere, esisterebbe senza essere osservabilein vitro–ma come diceva Donnie Brasco, forget about it.
Nel caso del lavoro digitale, la forza lavoro è soggetta all’enorme potere delle piattaforme che possono disconnetterle con unclick. Un’analoga asimmetria di poteri è presente nel campo della valutazione, del controllo, della certificazione delle prestazioni: attività diffuse in tutti i campi, a cominciare dalla scuola e dalla ricerca universitaria per finire all’organizzazione dei corrieri in bicicletta [R. Ciccarelli, cit., pp. 81-82].
Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia.
Una scuola che non insegna a riflettere su come, attraverso quali pratiche di sfruttamento del lavoro, quali violazioni dei diritti, quali conseguenze per il futuro viene creata la società presente; che non insegna a pensare la possibilità di un altro mondo dentro il presente, è una scuola che ha perso il proprio senso e la propria funzione: e allora tanto vale venderla all’incanto.
Battersi contro questa scuola è un dovere, unBeruf: perché una scuola che non si schiera, che si adegua e depone le armi,è una scuola che diserta.
- IlLiceo D’Oria di Genova dichiara che «Il contesto socio-economico e culturale complessivamente di medio-alto livello e l’assenza di gruppi di studenti con caratteristiche particolari dal punto di vista della provenienza culturale (come, ad esempio nomadi o studenti provenienti da zone particolarmente svantaggiate) costituiscono un background favorevole alla collaborazione ed al dialogo fra scuola e famiglia, nonché all’analisi, con apporti reciproci, delle specifiche esigenze formative, nell’ottica di una didattica davvero personalizzata», mentre la «non particolarmente rilevante incidenza degli studenti con cittadinanza non italiana» costringe la scuola a concentrare risorse per «mettere in atto strategie per la piena integrazione» per un numero ristretto di studenti.
IlLiceo Parini di Milano si presenta così: «Il contesto socio-economico di provenienza degli studenti è medio-alto. Scarsamente significativa l’incidenza di alunni con cittadinanza non italiana. Non risultano alunni provenienti da zone particolarmente svantaggiate o di condizione socio-economica e culturale non elevata. Gli studenti del liceo classico in genere hanno, per tradizione, una provenienza socio-economica e culturale più elevata rispetto alla media. Questo è particolarmente avvertito nella nostra scuola»: tale situazione viene definita «favorevole».
Per ilLiceo Visconti di Roma, «L’essere il Liceo classico più antico di Roma conferisce alla scuola fama e prestigio consolidato, confermato dalla politica scolastica che ha da sempre cercato di coniugare l’antica tradizione con l’innovazione didattica. Molti personaggi illustri sono stati alunni del liceo. Le famiglie che scelgono il liceo sono di estrazione medio-alto borghese, per lo più residenti in centro, ma anche provenienti da quartieri diversi, richiamati dalla fama del liceo». Inoltre, «tutti, tranne un paio, gli studenti sono di nazionalità italiana e nessuno è diversamente abile. La percentuale di alunni svantaggiati per condizione familiare è pressoché inesistente, mentre si riscontra un leggero incremento dei casi di DSA. Tutto ciò favorisce il processo di apprendimento».
Nell’Istituto S. Giuliana Falconieri di Roma «Gli studenti appartengono prevalentemente alla medio-alta borghesia romana. L’incidenza degli studenti con cittadinanza non italiana è relativamente molto bassa e si tratta per lo più di figli di personale delle ambasciate e/o dei consolati, particolarmente presenti nel quartiere Parioli». Si ritiene importante sottolineare che «non sono presenti né studenti nomadi né provenienti da zone particolarmente svantaggiate». È pur vero che «negli anni sono stati iscritti figli di portieri e/o custodi di edifici del quartiere»: e purtroppo «data la prevalenza quasi esclusiva di studenti provenienti da famiglie benestanti, la presenza seppur minima di alunni provenienti da famiglie di portieri o di custodi comporta difficoltà di convivenza dati gli stili di vita molto diversi».Non c’è più morale, Contessa!, direbbe una vecchia ballata…