La notizia non è da poco. Con un comunicato del 15 novembre 2018, la Corte di Giustizia Europea in Lussemburgo ha dichiarato che il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) tra il 2014 e il 2014 era rimasto inserito ingiustamente nella lista Ue della organizzazioni terroristiche (la lista viene rinnovata ogni sei mesi). Quanto all’inserimento del PKK, risaliva al 2002: su richiesta turca e suggerimento statunitense.
Tale decisione viene ora rimessa in discussione – se non addirittura sconfessata – dalla stessa Corte di Giustizia Ue in quanto le ragioni di tale inserimento non sarebbero state all’epoca sufficientemente motivate e dimostrate.
Di conseguenza tutte le relative decisioni sono da considerarsi nulle per errori procedurali.
All’udienza avevano partecipato gli avvocati del Consiglio Europeo, della Commissione Europea, del Regno Unito e del PKK.
Quattro anni fa, Murat Karayılan e Duran Kalkan (dirigenti del PKK contro cui gli Stati Uniti hanno appena emesso un “bando di ricerca” con relativa taglia; non credo proprio si tratti di coincidenza ma piuttosto di un modo per screditarli) avevano presentato ricorso alla Corte di Giustizia Europea
Nelle odierne motivazioni della sentenza la Corte spiega che l’inserimento del PK era stato giustificato riportando alcuni episodi “non sufficientemente documentati dal punto di vista giuridico”. In particolare, non si sarebbe tenuto conto dei cambiamenti politico-strategici dell’organizzazione curda e del suo ruolo attuale in Medio Oriente.
Criticata anche la decisione di utilizzare come argomentazioni le sentenze emesse da tribunali turchi in processi in cui – secondo quanto ha dichiarato la Corte Ue – non sarebbe stato sufficientemente garantito il diritto alla difesa degli imputati. Sentenze oltretutto non adeguatamente verificate dal Consiglio Ue. Stessa valutazione per quelle emesse da tribunali statunitensi.
Si afferma inoltre che il divieto del PKK nell’UE e nel Regno Unito risaliva agli anni 2001 e 2002 e che si sarebbe dovuto tener conto dei recenti sviluppi: la dichiarazione di cessate il fuoco dal 2009, i colloqui di pace con lo Stato turco…
Nel comunicato ovviamente viene citato l’appello per la pace di Öcalan in occasione del capodanno curdo del 21 marzo 2013. Questo appello – si sottolinea – era stato appoggiato in una dichiarazione congiunta sia dall’incaricata dell’UE per gli affari esteri Catherine Ashton sia dal Commissario per l’Allargamento dell’UE Stefan Füle.
Rimessa in discussione anche la decisione di divieto (nella Ue e nel Regno unito) risalente al 2001. All’epoca era stata motivata in riferimento a 69 azioni armate – presunte, a questo punto – da parte del PKK o di gruppi collegati. Tuttavia nessuna di queste accuse era stata confermata da tribunali di un Paese UE. Così la Corte di Giustizia Ue ha ribadito che la veridicità di simili accuse deve essere provata.
Respinta comunque, almeno per ora, la richiesta di una cancellazione retroattiva del PKK dalla lista a partire dal 2002. Analogamente, per quanto riguarda le decisioni sulla lista Ue delle organizzazioni terroristiche per il 2018, queste non vengono modificate dall’attuale sentenza.
In ogni caso, un passo avanti nel rimettere in discussione la criminalizzazione del movimento di liberazione curdo.
Decisione quella della Corte di Giustizia Europea – va detto – in aperto contrasto con il recente “bando di ricerca” (e relativa taglia) emesso dagli USA nei confronti di tre leader curdi: Cemil Bayik, Murat Karayilan, Duran Kalkan. Contro tale iniziativa statunitense in molte città europee (Amburgo, Roma, Reims, Berlino, Basilea, Pforzheim…) si sono svolte manifestazioni di protesta.