Vogliamo dare un nostro contributo, più compiuto ed approfondito, sul tema della soppressione dell‘Istituto. Il ragionamento non è proprio brevissimo, è però frutto di una riflessione attenta e crediamo che, con un po’ di pazienza, valga la pena di essere seguito, per comprendere bene il significato di questo provvedimento.
Sarebbe un grave errore vedere la soppressione dell’INPDAP come un provvedimento a se stante, sconnesso ed indipendente dal quadro complessivo delle operazioni che il governo Monti sta conducendo.
In questa fase di crisi nei paesi “centrali”, europei e nord – americani, i governi cosiddetti “tecnici” hanno come compito e missione quella di aprire nuove opportunità e nuovi spazi al capitalismo ed all’imperialismo occidentale.
Formalmente avulso alla contesa partitica, il governo Monti si accredita così come contraltare della politica “sporca”, degli evidenti eccessi di corruzione e malgoverno, inteso come incapacità e incompetenza vera e propria che ha caratterizzato soprattutto gli ultimi anni.
Con questa veste moralizzatrice e protetto dalla presunta “purezza” – tutta da dimostrare – dei propri componenti, il governo Monti ha quindi degli strumenti ed un potere decisionale immediato fortemente accentuato rispetto ai predecessori.
Ciò gli consente di avviare e portare a realizzazione materialmente molti processi “riformatori”, in diversi settori.
Questi processi hanno tutti, ad una analisi attenta, per l’appunto lo scopo specifico di riaprire nuove possibilità, nuovi vantaggi, nuovi “mercati” alla economia capitalistica.
Allo scopo di renderli il più possibile blindati e soggetti a modifiche solo marginali, questi processi di trasformazione vengono accompagnati da giustificazioni legate alla necessità di ripianare il deficit e di ridurre la spesa pubblica, anche quando ciò, dati statistici alla mano, non corrisponde a realtà; oppure, sempre con lo stesso obiettivo, quello di distogliere l’attenzione dagli obiettivi centrali dei decreti, si attuano operazioni populistiche ed eclatanti dal punto di vista mediatico (vedi ispezioni anti – evasori concentrate in un certo periodo ed in certi luoghi, “Vedete come siamo bravi e come siamo severi?”).
Ma la sostanza è un’altra, come dicevamo.
Prendiamo la riforma previdenziale, l’ennesima, quella definitiva, che ha allontanato sine die la possibilità di andare in pensione ed ha ridotto drasticamente i trattamenti, senza peraltro fare alcunché rispetto alla costruzione di garanzie per le generazioni più giovani, che continuano ad
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essere destinate all’occupazione instabile senza avere alcuna garanzia previdenziale, in barba a tutte le dichiarazioni pro – giovani che tutti i giorni ci sentiamo profondere anche dallo stesso Monti.
Bene, questa riforma si è inserita in un quadro in cui il bilancio previdenziale, a detta non da parte nostra, ma di tutte le fonti ufficiali (INPS, ISTAT ecc.) è ampiamente in attivo, nonostante soffra l’endemico deficit dei fondi pensione di alcune categorie (dirigenti, artigiani, ecc.).
Ed allora, perché questa riforma così drastica ? Per risparmiare ? Per ridurre la spesa ? Non proprio.
Certo se i trattamenti vengono ridotti e spostati in là nel tempo la riduzione di spesa c’è, è ovvio, ma non è questo che interessa, non è questo lo scopo! Lo scopo vero è quello di annientare del tutto questa sezione del Welfare, con una progressione esponenziale, più rapida di quello che era stato preventivato dalle riforme precedenti, con l’obiettivo di creare prospettive di sviluppo immediato per la previdenza privata.
Quest’ultima è un elemento del circuito speculativo su cui si regge il capitalismo di questi ultimi decenni, che ha bisogno sempre di più di sostenere le sue gambe di argilla con ingenti risorse finanziarie, anche indipendenti dalla effettiva produzione di beni e ricchezza materiale.
Che sia gestito da strutture chiuse “di categoria” o da istituzioni bancarie ed assicurative di diverso genere, il fondo di previdenza “integrativa” finisce inevitabilmente per introdursinel mondo degli investimenti speculativi e borsistici, il cui andamento spesso, per non dire sempre, è condizionato da elementi che hanno poco a che fare con la fabbricazione dei prodotti, con l’efficienza dei servizi, con le capacità effettive, insomma, di un sistema economico. Questi andamenti, come si è visto, sono determinati dai “capricci” affaristici delle centrali finanziarie e dalla necessità di sfruttare i differenziali di valore acquisiti dai titoli nei vari mercati borsistici.
Taglieggiando o addirittura eliminando (per le giovani generazioni che si dice di voler proteggere) la possibilità di costruirsi una previdenza garantita dai contributi versati, si vogliono spingere sempre più risorse,sempre più capitali in questo buco nero speculativo, che continuerà a fare arricchire i pochi che lo governano e lo sfruttano, non dando nulla di vantaggioso a chi ingenuamente crede che sia quella l’unica strada per premunirsi in vista della vecchiaia.
Un altro esempio di come il governo “tecnico” sfrutta motivazioni e giustificazioni emotivamente e moralmente condivise dalla maggioranza dell’opinione pubblica per attuare processi che hanno invece spiegazioni più bassamente opportunistiche è quello delle cosiddette “liberalizzazioni”.
Il sistema mediatico di appoggio e sostegno a questi processi, in questo caso mette in primissimo piano i provvedimenti destinati a disciplinare con maggior “rigore” attività di ristrette categorie (farmacisti, notai, tassisti ecc.). In realtà la sostanza e le prassi che da decenni regolano queste attività e che hanno determinato una scarsa accessibilità all’esercizio di determinate professioni e il loro giustificato accostamento con l’evasione e l’elusione fiscale, non ci sembra che venga granché scalfito da queste “riforme”, sulle quali però viene attratta l’attenzione per settimane e settimane di seguito, come uno specchietto per le allodole.
Intanto, al riparo dai riflettori, quasi marginalmente, vengono fatti passare i provvedimenti sulla “liberalizzazione” dell’energia, che significherà sottoporre anche questo settore allo “spezzatino” già subito dal settore telefonico, da quello postale, e da altri settori di servizi, un tempo definiti pubblici, che prima erano oggetto di gestione controllata in quanto riferiti a bisogni e necessità sociali che si reputava dovessero essere garantite al di fuori del mercato.
Il destino subito da Telecom, Enel, Poste ecc. ora dovrà essere affrontato anche dalle aziende energetiche, Eni in testa, per garantire la concorrenza, dicono, “a tutto vantaggio del consumatore”.
Vi pare che la concorrenza che in questi anni si è aperta nel settore delle telecomunicazioni, ad esempio, abbia inciso positivamente sui costi addossati alle famiglie e che sia aumentata l’efficienza del servizio ?
Vi pare che la privatizzazione delle Poste abbia prodotto riflessi così benefici sul costo e l’efficienza dei servizi “liberalizzati” ?
A noi pare che si siano “liberate” solo nuove opportunità per le aziende private, che tra l’altro formano anche una specie di oligarchia monopolistica, in questi settori.
Seci sono stati dei vantaggi, sono solo in termini di profitto per queste aziende, senza alcun beneficio né tariffario, né funzionale, per gli utenti.
Sempre con scarsa attenzione mediatica, il governo sta infilando, tra le liberalizzazioni, anche i servizi pubblici locali, la cui privatizzazione era stata bocciata fragorosamentedai referendum di qualche anno fa (? Oops, ma no! si tratta solo del giugno dello scorso anno, ma si sa la situazione economica muta con una rapidità impressionante, vogliamo fermarci solo perché una consultazione democratica ha detto che le privatizzazioni non vanno bene ?!).
E veniamo finalmente all’INPDAP.
Non è un caso che l’attenzione giornalistica sulla soppressione di questo ente, che pure non è un’istituzione marginale o di poca consistenza, sia stata scarsa.
L’attenzione mediatica è intervenuta marginalmente solo in occasione delle iniziative di protesta dei dipendenti, che ovviamente erano e sono legate, legittimamente, molto ai giustificati timori per l’aspetto occupazionale.
Non si è posto l’accento abbastanza sugli aspetti sostanziali e sulle conseguenze che discenderanno dal decreto di soppressione, che si inserisce appieno nel quadro di tutti gli altri provvedimenti vomitati dal governo tecnocratico.
Anche qui infatti la sostanza e l’obiettivo reale è “liberalizzare” e “privatizzare”. Con la giustificazione ormai anche un po’ ripetitiva e a cui non crede più nessuno, della “razionalizzazione” della spesa.
Come sappiamo, è un processo che in INPDAP è cominciato già da qualche anno, anzi, forse, dalla sua nascita, nel ’95-96. Chi ha vissuto quegli anni ricorderà la privatizzazione della gestione del patrimonio (con risultati disastrosi in termini finanziari e materiali), la cartolarizzazione (cioè la finanziarizzazione) del valore dello stesso patrimonio immobiliare prima e di quello mobiliare (credito) poi, anch’esso con risultati catastrofici, la parziale privatizzazione del credito, dovuta al restringimento drastico delle risorse direttamente erogabili dall’Istituto per mutui e prestiti, la parziale privatizzazione dei servizi sociali (assistenza anziani, convitti, vacanze studio, colonie), con l’introduzione di contratti di servizio con aziende esterne per servizi fino ad allora resi da personale dell’Istituto.
Ora si tratta di dare un’accelerata definitiva e molto spinta a questo processo di privatizzazione.
Si tratta di completare il distoglimento di personale dalle strutture sociali, affidando in toto i servizi in service esterno.
Si tratta di eliminare il finanziamento, già ridotto, al credito gestito dall’ ente, dirottando totalmente la robusta e costante domanda che proviene dagli iscritti verso il credito privato (banche e finanziarie).
Si tratta di ritornare, per la gestione del patrimonio immobiliare, all’affidamento alle mandatarie, a cui tra l’altro INPS non ha mai rinunciato, mettendo ai margini ed assottigliando il controllo della gestione da parte delle strutture e del personale dell’istituto.
Si tratta di cancellare quelle poche isole di gestione interna da parte del personale del rapporto con gli iscritti, pensiamo all’assistenza e ricezione delle dichiarazioni mod.730, ad esempio, che, mutuando dal funzionamento INPS, sarà probabilmente consegnata in esclusiva ai CAF privati.
E si tratta anche e soprattutto di estendere “finalmente” la privatizzazione anche ai servizi previdenziali, fin qui al riparo da intromissioni esterne: la interconnessione che si sta creando artificiosamente tra riduzione dei trattamenti pensionistici e destinazione di quote sempre maggiori di reddito al finanziamento di forme di previdenza ed assicurazione private è destinato ad entrare ed a influire direttamente nel funzionamento degli uffici e nelle attività istituzionali.
Qualcuno ricorderà, per esempio, come, di pari passo con la riduzione dei mutui erogati direttamente, si è assistito ad una sempre maggiore presenza di istituti bancari nelle sedi, con agenti destinati a ricevere l’”eccedenza” della domanda di credito. Bene noi pensiamo che analogo disegno, nei prossimi anni, sarà attuato anche per la previdenza integrativa.
D’altronde gli “agenti” in questo caso, sono già in casa, sono i rappresentanti sindacali delle organizzazioni che in questi anni si sono dati un gran da fare , con tanto di atti notarili, per costituire fondi previdenziali di vario genere e natura, e chesono pronti a effettuare le loro campagne di adesione, che diventeranno sempre più massicce e pressanti.
Data la vicenda scandalosa vissuta nell’INPDAP rispetto alla gestione del sistema informativo, ci pare infine quasi superfluo prefigurare quali appetiti vengono sollecitati e quali ingenti finanziamenti, di cui beneficeranno le solite note aziende, verranno mossi per l’inevitabile unificazione delle procedure informatiche: siamo destinati ad assistere, anche qui, all’ennesimo rifacimento del sistema, dai costi già pletorici, col sistema ex INPDAP, tra l’altro,che sappiamo non è stato ancora completato ?
Abbiamo cercato di far emergere quelli che sono i punti effettivi e gli scopi reali della soppressione dell’INPDAP. Essa è dovuta non già e non tanto alla necessità di ridurre la spesa, che potrà essere influenzata ben poco dalla sparizione di qualche organo duplicato e di qualche poltrona, bensì ha lo scopo di governare più efficacemente e rapidamente i processi di esternalizzazione, completandoli e rendendoli totali per i settori già parzialmente privatizzati ed estendendoli anche a quei settori che finora ne erano stati esclusi, come la previdenza.
In contraddizione con gli scopi dichiarati, tali processi non sono destinati a ridurre la spesa, ma anzi ad aumentarla, in quanto indirizzati a dirottare sempre più finanziamenti verso l’affidamento dei servizi alle imprese private.
In questi giorni, giustamente, l’attenzione è rivolta ancora all’aspetto occupazionale. Ma esso non può essere osservato solo con un’ottica di breve periodo, legata alla stretta attualità del provvedimento ed alla sua attuazione immediata. L’impegno di chi vuole adoperarsi per il mantenimento dei livelli occupazionali dovrebbe tenere conto proprio del quadro d’assieme che abbiamo fin qui delineato: non può esservi garanzia per il mantenimento del posto di lavoro senza un’adeguata opposizione ai processi di privatizzazione, perché sono proprio questi che metteranno in pericolo nei prossimi mesi e nei prossimi anni i livelli occupazionali, in questo come in altri enti pubblici.
27 gennaio 2012
COBAS - INPDAP