Anniversario triste per i diritti umani
Il primo articolo, che conosciamo tutti, appare ancora incredibilmente attuale: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”.
Leggendolo viene subito in mente il sentimento di disuguaglianza al centro del movimento dei gilet gialli in Francia. La dichiarazione ha compiuto settant’anni e resta il simbolo di un ideale verso cui tendere ma che è più complicato del previsto da realizzare. Affisso nelle scuole, nei commissariati e nei tribunali, il testo del 1948 non è ancora considerato come il nucleo dei valori comuni dell’umanità. Ancora oggi nel migliore dei casi è ignorato o aggirato, e nel peggiore è attaccato in nome della negazione dell’universalità.
Le fratture persistenti
Le attuali divisioni esistevano già nel 1948. Dei 58 componenti delle Nazioni Unite dell’epoca, solo 50 votarono per l’adozione del testo. Il Sudafrica bianco rifiutò di riconoscere l’uguaglianza di tutti gli esseri umani, l’Arabia Saudita si oppose all’uguaglianza tra gli uomini e le donne mentre l’Unione Sovietica e i suoi alleati contestarono la definizione di universalità.
Sono fratture che ritroviamo ancora oggi. La Cina ha recentemente risposto alle critiche sul trattamento riservato alla minoranza degli uiguri dichiarando che i diritti umani sono un’invenzione occidentale; una parte del mondo islamico continua a subordinare i valori universali alle leggi religiose, mentre gli Stati Uniti sono appena usciti dal Consiglio per i diritti umani dell’Onu e rifiutano di riconoscere la Corte penale internazionale.
Gli stessi problemi li ritroviamo con il patto sulle migrazioni, firmato a Marrakesh e costruito basandosi sullo spirito dell’articolo 13 della Dichiarazione dei diritti umani, che tratta della libera circolazione delle persone. I nazionalisti attaccano duramente l’accordo e in Belgio ha addirittura causato la crisi di governo.
Molti obiettivi fissati dalla dichiarazione hanno fatto registrare grandi progressi al livello mondiale, come la lotta alla povertà, ma altri hanno vissuto addirittura una regressione su tutti i continenti, Europa compresa.
Questo settantesimo anniversario sarebbe potuto essere un’occasione per rinnovare gli impegni presi per la difesa dei diritti umani. E invece, secondo Amnesty international, “oggi la dichiarazione universale del 1948 non sarebbe approvata”. Viviamo in un’epoca triste.
Amnesty: “Da governo gestione repressiva delle migrazioni”. Il 2018? L’anno dei movimenti di massa per i diritti delle donne
“Gestione repressiva del fenomeno migratorio”, “erosione dei diritti umani dei richiedenti asilo”, “retorica xenofoba nella politica”, “sgomberi forzati senza alternative”. Sono alcuni dei passaggi dedicati all’Italia nel rapporto “La situazione dei diritti umani nel mondo. Il 2018 e le prospettive per il 2019”, pubblicato da Amnesty International in occasione del 70esimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani.
Il governo Conte, sostiene la ong, “si è subito distinto per una gestione repressiva del fenomeno migratorio”, in cui “le autorità hanno ostacolato e continuano a ostacolare lo sbarco in Italia di centinaia di persone salvate in mare, infliggendo loro ulteriori sofferenze e minando il funzionamento complessivo del sistema di ricerca e salvataggio marittimo”. Parlando del Dl sicurezza, Amnesty afferma che contiene misure che “erodono gravemente i diritti umani di richiedenti asilo e migranti e avranno l’effetto di fare aumentare il numero di persone in stato di irregolarità presenti in Italia”. Amnesty International Italia segnala inoltre il “massiccio ricorso” da parte di alcuni candidati e partiti politici a “stereotipi e linguaggio razzista e xenofobo per veicolare sentimenti populisti, identitari nel corso della campagna elettorale” di quest’anno.
Guardando all’Europa, il 2018 è stato caratterizzato “dall’aumento dell’intolleranza, dell’odio e della discriminazione, in un contesto di progressivo restringimento degli spazi di libertà per la società civile” e in cui “richiedenti asilo, rifugiati e migranti sono stati respinti o abbandonati nello squallore mentre gli atti di solidarietà sono stati criminalizzati”. A guidare questa tendenza sono stati “Ungheria, Polonia e Russia mentre nel più ampio contesto regionale in stati come Bielorussia, Azerbaigian e Tagikistan vi sono stati nuovi giri di vite nei confronti della libertà d’espressione e in Turchia ha proseguito a espandersi un clima di paura”.
Tuttavia, Amnesty sottolinea che in Europa “l’ottimismo è rimasto invariato e sono cresciuti attivismo e proteste: un coro di persone ordinarie dotate di una passione straordinaria chiede giustizia e uguaglianza”. Il 2018 è stato, del resto, “un anno di fiere battaglie per i diritti delle donne contro le politiche oppressive e sessiste”, nel quale “attiviste di ogni parte del mondo sono state in prima linea nella battaglia per i diritti umani”, nonostante “l’azione di leader che si definiscono “duri” che promuovono politiche misogine, xenofobe e omofobe ha messo in pericolo libertà e diritti conquistati tempo addietro”.
“Nel 2018 abbiamo visto molti di questi autoproclamati leader mettere a rischio il principio di uguaglianza”, ha dichiarato Kumi Naidoo, segretario generale di Amnesty International. “Loro pensano che le loro politiche li rendano ‘tosti’ ma si tratta di poco più che tattiche da bulli che cercano di demonizzare e perseguitare comunità già marginalizzate e vulnerabili”.
Il volume riporta il lavoro di gruppi come Ni una menos che in America Latina hanno dato vita a movimenti di massa sui diritti delle donne con dimensioni mai viste in passato. In India e Sudafrica migliaia di donne sono scese in strada per protestare contro l’endemica violenza sessuale. In Arabia Saudita le attiviste hanno rischiato di finire in carcere per aver sfidato il divieto di guida, in Iran per aver protestato contro l’obbligo d’indossare il velo. In Argentina, Irlanda e Polonia manifestazioni hanno chiesto la fine delle opprimenti leggi sull’aborto. Negli Usa, in Europa e in parti dell’Asia in milioni hanno preso parte alla seconda manifestazione #MeToo per dire basta alla misoginia e alla violenza.
L’analisi di Amnesty International punta il dito su un crescente numero di politiche e legislazioni che finalizzate a controllare le donne, soprattutto nella sfera dei diritti sessuali e riproduttivi. In Polonia e in Guatemala sono state fatte proposte per rendere ancora più rigide le leggi sull’aborto mentre negli Usa il taglio dei fondi ai centri per la pianificazione familiare ha messo a rischio la salute di milioni di donne. Il divario salariale di genere nel mondo è pari al 23 per cento, e 104 paesi hanno leggi che impediscono a oltre 2,7 milioni di donne di svolgere determinate professioni. Quasi il 60 per cento delle donne lavoratrici nel mondo (circa 750 milioni) non beneficia del diritto al congedo di maternità. A livello mondiale, il 40 per cento delle donne in età fertile vive in paesi in cui l’aborto è ancora soggetto a gravi restrizioni. Il 23% delle donne che hanno partecipato a un sondaggio realizzato in otto paesi ha subìto abusi o molestie online.
Per Amnesty, l’anno prossimo, il 40esimo anniversario della Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne, sarà un’occasione fondamentale, e l’organizzazione sta sollecitando i governi ad agire per assicurare che i diritti delle donne siano rispettati. “Amnesty International può e deve fare di più sui diritti delle donne. Mentre ci apprestiamo a entrare nel 2019 credo più che mai che dobbiamo stare accanto ai movimenti delle donne, amplificare le loro voci in tutte le loro diversità e combattere per il riconoscimento di tutti i nostri diritti”, ha concluso Naidoo.
Rapporto Amnesty: "In Italia gestione repressiva dei migranti e attacco ai diritti umani"
Il governo Conte, scrive Amnesty, "si è subito distinto per una gestione repressiva del fenomeno migratorio", in cui "le autorità hanno ostacolato e continuano a ostacolare lo sbarco in Italia di centinaia di persone salvate in mare, infliggendo loro ulteriori sofferenze e minando il funzionamento complessivo del sistema di ricerca e salvataggio marittimo". Il Decreto sicurezza, dice l’organizzazione, contiene misure che "erodono gravemente i diritti umani di richiedenti asilo e migranti e avranno l'effetto di fare aumentare il numero di persone in stato di irregolarità presenti in Italia".
Amnesty segnala i pericoli del "massiccio ricorso" da parte di alcuni candidati e partiti politici a "stereotipi e linguaggio razzista e xenofobo per veicolare sentimenti populisti, identitari nel corso della campagna elettorale" di quest'anno. Nel 2018 gli sgomberi forzati "sono continuati", colpendo soprattutto famiglie rom e gruppi di rifugiati e migranti, "senza l'offerta di alternative abitative adeguate da parte delle autorità". La "linea dura" dettata dal nuovo esecutivo sugli sgomberi "rischia di fare aumentare nel 2019 il numero di persone e famiglie lasciate senza tetto e senza sistemazioni alternative".
Nel corso del 2018 è proseguita la fornitura di armi a paesi in guerra come Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, esportazioni che violano la legge e il Trattato internazionale sul commercio delle armi" ratificato nel 2014. A settembre è partita la sperimentazione sulle pistole a impulsi elettrici (Taser) in dotazione alle forze di polizia, per le quali l'organizzazione ha espresso preoccupazione sui rischi per la salute".
Amnesty International Italia segnala inoltre il "massiccio ricorso" da parte di alcuni candidati e partiti politici a "stereotipi e linguaggio razzista e xenofobo per veicolare sentimenti populisti, identitari nel corso della campagna elettorale" di quest'anno. Nel 2018 gli sgomberi forzati "sono continuati", colpendo soprattutto famiglie rom e gruppi di rifugiati e migranti, "senza l'offerta di alternative abitative adeguate da parte delle autorità". La "linea dura" dettata dal nuovo esecutivo sugli sgomberi "rischia di fare aumentare nel 2019 il numero di persone e famiglie lasciate senza tetto e senza sistemazioni alternative".
Roma, sgomberata ex fabbrica Penicillina: Salvini sul posto, contestato da alcuni residenti: “Una farsa”
Davanti all’ingresso dell’ex fabbrica sono stati schierati blindati di polizia e carabinieri, insieme con alcune squadre dei vigili del fuoco. Al termine dello sgombero dell’ex fabbrica farmaceutica, occupata da migranti provenienti dall’Africa e da senzatetto italiani, la questura ha spiegato che non si è registrata “nessuna criticità, sotto il profilo dell’ordine e la sicurezza pubblica”.
Roma, sgomberata l'ex Penicillina. Salvini: «Altri interventi nelle prossime settimane»
«È un altro giorno all'insegna dell'ordine e della legalità. Nelle prossime settimane sono già previsti altri sgomberi a Roma e in tante altre città italiane. Dalle parole ai fatti», ha scritto il ministro dell'Interno. Solo una quarantina di migranti sono stati sgomberati. Gli altri «sono andati via tutti nei giorni scorsi», racconta un migrante che è uscito spontaneamente dall'edificio. Anche altri migranti la notte scorsa hanno dormito in strada e molti questa mattina all'alba camminavano su via Tiburtina con i trolley. Nell'edificio abbandonato, a detta degli stessi occupanti, vivevano circa 600 persone, sopratutto africani ma anche italiani
Per permettere le operazioni il tratto della via Tiburtina dal civico 1020 fino all’incrocio con via del Casal di San Basilio è stato chiuso al traffico in direzione del grande raccordo anulare, e poi riaperto. Le operazioni di sgombero si sono svolte senza criticità. Il palazzo dell’ex penicillina fu inaugurato nel 1950 e dal 2012 dopo che il Comune decise di riprendere i lavori per l’ampliamento della Tiburtina abbattendo il muro perimetrale che circondava il palazzo, l’edificio è stato via via occupato da una serie di extracomunitari. A seconda dei periodi si contavano tra le 300 e le 600 persone.(Messaggero)