Il decreto d’urgenza emanato ieri dal governo, peraltro all’interno di una vera manovra di classe, introduce all’articolo 12 il reato di “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”: sembrerebbe un riconoscimento importante della lotta sostenuta dai lavoratori africani qui a Nardò. Per il momento, però, i caporali continuano indisturbati a muoversi dentro e fuori il campo, nonostante la decina di denunce che gli stessi migranti hanno risolutamente presentato in questi giorni alle forze dell’ordine. Un enorme investimento soggettivo e i rischi personali sembrano aver conseguito pochi miglioramenti immediati e una norma le cui ripercussioni si vedranno solo nel prossimo futuro. Vale però la pena guardare con più attenzione dentro alla fine di questo sciopero per vedere che cos’altro si è mosso.
Le prime falle tra gli scioperanti si erano create venerdì mattina, il 5 agosto, dopo che per sei giorni il blocco era stato pressoché totale. Da un lato si registravano i primi risultati concreti: aumento del cottimo e alcuni contratti regolari. Dall’altro era iniziata su più fronti l’azione di padroni e caporali: ingaggio di crumiri provenienti anche dalla provincia di Foggia; suggerimenti da parte dei caporali per alimentare conflitti tra scioperanti di diverse nazionalità; minacce dirette e indirette ai protagonisti più in vista. A questo nel corso dell’ultima settimana si sono aggiunti i tavoli concertativi in Prefettura a Lecce e in Regione a Bari, che hanno spossato lo slancio dei migranti in una lotta nella quale si sono infilati progressivamente molti soggetti. Le pratiche istituzionali come strumento per stanare le aziende non stanno dando i risultati agognati. Addirittura, la Cia Puglia, una delle organizzazioni padronali del settore, con un comunicato stampa ha rivendicato la propria assenza dal tavolo regionale poiché essa “non rappresenta e né intende rappresentare presunti agricoltori, per lo più mediatori e commercianti che utilizzano in modo selvaggio i caporali e praticano lo schiavismo”.
Sul fronte sindacale, la Flai-Cgil è stato l’unico sindacato che ha "sostenuto" la protesta; da un lato essa ha puntato sui tavoli istituzionali e su un ristretto gruppo di migranti, facendo ventilare sembra a uno di questi l’assunzione presso la Cgil di Lecce in qualità di “referente per gli immigrati”; dall’altro lato ha evitato la contrattazione collettiva diretta e fornito scarso sostegno pratico agli scioperanti nei campi e nei blocchi stradali, nonostante conti oltre 5.000 iscritti in provincia.
Gli accordi sottoscritti in Regione riguardano l’istituzione di liste di prenotazione per i lavoratori immigrati stagionali a livello sperimentale presso il Centro per l’impiego di Nardò, dalle quali il padronato dovrebbe scegliere la sua forza lavoro. Il trasporto dalla masseria fino ai campi, garantito gratuitamente dal Comune di Nardò, avverrà solo per quanti saranno scelti dalle aziende dalle liste di prenotazione. Nel frattempo la Regione sta cercando di individuare le imprese produttrici di pomodori attraverso l’Agea, l’ente che gestisce i contributi europei: Regione e sindacato sperano di coinvolgere almeno tre o quattro aziende “virtuose”, per poi provare a riproporre questo “schema” in altri contesti, primo tra tutti la Capitanata. Molti immigrati, anche tra quanti già lavorano, si sono iscritti alle liste, ma le aziende non sono obbligate ad assumere attraverso il Centro per l’impiego, sicché – sebbene una decina di migranti siano stati direttamente e regolarmente assunti da un’azienda nei giorni scorsi, con un salario orario e la garanzia di un alloggio – poco è cambiato, e la raccolta è oramai ormai agli sgoccioli.
Nella Masseria già nel pomeriggio di giovedì si respirava un’aria di delusione. Lo stesso Yvan affermava: “C’è un sentimento di amarezza perché avevamo dato tutto in questa battaglia per avere dei risultati subito, ma non è successo nulla. Però sappiamo che le vittorie sono difficili da ottenere e che occorre sempre continuare a lottare perché se non si lotta non si ottiene niente. D’altra parte c’è un sentimento di vittoria perché qualcosa si è mosso sul piano politico, istituzionale, poi la stampa ne ha parlato”. Lo sciopero ha comunque permesso a molti immigrati di sentirsi meno soli e di intraprendere percorsi di presa di parola diretta: “ho denunciato il mio padrone perché mi aveva assunto regolarmente, ma mi continuava a pagare a cassone e non a ore, come dovrebbe”, afferma Karim, giovane tunisino.
Nonostante molti migranti siano stati costretti da necessità impellenti a ritornare al lavoro, la lotta sembra averli resi maggiormente consapevoli della loro forza. Molti di loro non avevano mai scioperato prima: “è una classe di lavoratori che pensa subito al presente, a quello che guadagna alla giornata”, sosteneva Yvan. Migranti abituati alla fatica e allo scarso guadagno, a sistemazioni disagiate; essi hanno provato a rovesciare la loro condizione, stabilendo nel tempo della lotta livelli di comunicazione impensabili fino a qualche settimana fa e mostrato di non essere solo braccia buone per la raccolta. Tutto questo non si vede né se si guardano le anguste risposte istituzionali, e neppure se si cerca una struttura consolidata secondo le tradizioni del movimento operaio.
La situazione al campo rimane tesa e la chiusura è stata anticipata di una decina di giorni. Il sindaco di Nardò in visita sabato 13 agosto ha promesso una certa attenzione ai bisogni dei migranti, in particolare a quanti necessitano di andarsene e sono senza un soldo. Come talvolta accade quando gli scioperi si concludono, salgono alla ribalta di nuovo gli individualismi e i piccoli egoismi personali, che si erano sopiti nella lotta. Pur con i suoi limiti, lo sciopero dei lavoratori africani di Nardò ci ha mostrato che è possibile e necessario, anche nelle condizioni più complicate, auto-organizzarsi e rivendicare migliori condizioni di lavoro e di vita, contro gli aspetti mortiferi della corsa verso il profitto. Di questo si dovrà tenere conto nei prossimi difficili mesi, non solo tra i migranti