Unioni civili sì, convivenza no, i diritti per l'assistenza ai disabili

martedì 14 marzo 2017


La legalizzazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e delle convivenze di fatto sia tra persone dello stesso sesso che da persone di sesso diverso, introdotta nella legislazione italiana dalla legge 20 maggio 2016, n. 76, comincia a produrre gli effetti anche sulla concessione dei permessi di cui all'art. 33, comma 3, della legge 104/92 e sul congedo straordinario ex art. 42, comma 5, del decreto legislativo 151/2001, fruibili dai lavoratori per assistere parenti disabili in situazione di gravità.
La circolare n. 38 del 27 febbraio 2017 dell'Inps fornisce - alla luce delle disposizioni di cui alla predetta legge n. 76/2016 e della sentenza della Corte costituzionale n. 213 del 5 luglio 2016 – le istruzioni operative relative appunto alla concessione ai lavoratori dipendenti del settore privato (applicabili seppure indirettamente anche a quelli del comparto pubblico, ivi compreso il personale scolastico, ndr) dei predetti permessi e congedi.
Prima di fornire le istruzioni operative la circolare richiama opportunamente l'attenzione alla norma di cui all'art. 1, comma 20, della legge 76/2016 che, con riferimento alle unioni civili, dispone che «al solo fine di assicurare l'effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. Le suddette disposizioni non si applicano invece alla convivenza di fatto che si crea tra due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da unione civile».
Sempre in premessa la circolare ricorda inoltre che la Corte costituzionale con la sentenza n. 213 del 5 luglio 2016 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell' art. 33, comma 3, della legge 104/92 nella parte in cui non include il convivente tra i soggetti legittimati a fruire dei permessi ex art. 33, comma 3, della legge 104/92.
I permessi di cui al più volte citato art. 33, comma 3 («tre giorni mensili retribuiti ai lavoratori dipendenti che prestino assistenza al coniuge, a parenti o ad affini entro il secondo grado – con possibilità di estensione fino al terzo grado – riconosciuti in situazione di disabilità grave ai sensi dell'art. 3, comma 3, della legge 104 stessa»), si legge nella circolare, possono essere fruiti sia dal componente dell' unione civile che presti assistenza all'altra parte, sia dal convivente che presti assistenza all'altro convivente. Fermo restando il principio del referente unico legittimato a fruirne, i permessi possono essere concessi, in alternativa, in alternativa, alla parte dell'unione civile, al convivente di fatto, al parente o all'affine entro il secondo grado. E' inoltre possibile concedere il beneficio a parenti o affini di terzo grado qualora i genitori o il coniuge/la parte dell'unione civile/il convivente di fatto della persona con disabilità in situazione di gravità abbia compiuto i 65 anni di età oppure siano affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti. Sul rapporto di affinità c'è tuttavia un importante precisazione: non sussiste tale rapporto tra una parte dell'unione civile o della convivenza di fatto e i parenti dell'altra parte dal momento che l'articolo 78 del codice civile che ne prevede la costituzione non è stato richiamato espressamente dalla legge n. 76/2016.
Quanto al congedo straordinario di cui all'art. 42, comma 5, del decreto legislativo 151/2001( un massimo di due anni nell'arco della vita lavorativa per assistere un parente convivente disabile in situazione di gravità), esso può essere fruito, si legge tra l'altro nelle istruzioni operative contenute nella circolare dell'Inps, solo dai soggetti uniti civilmente, secondo il seguente ordine di priorità :
1. il soggetto dell'unione civile convivente con quello disabile in situazione di gravità;
2. il padre o la madre, anche adottivi o affidatari, del soggetto disabile in situazione di gravità, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti dell'altro soggetto dell'unione civile convivente;
3. uno dei figli conviventi della persona disabile in situazione di gravità, nel caso in cui la parte dell'unione civile convivente ed entrambi i genitori del disabile siano mancanti, deceduti o effetti da patologie invalidanti;
4. uno dei fratelli o sorelle conviventi della persona disabile in situazione di gravità nel caso in cui la parte dell'unione civile convivente, entrambi i genitori ed i figli conviventi del disabile siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti;
5. un parente o affine entro il terzo grado convivente della persona disabile in situazione di gravità nel caso in cui i soggetti di cui ai punti 1, 2, 3 e 4 siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti.
Con un messaggio del 21 dicembre 2016 l'istituto di previdenza aveva comunicato che a decorrere dal 5 giugno 2016, per effetto di quanto dispone l'art. 1, comma 20, della legge 76/2016, ai fini del riconoscimento del diritto alle prestazioni pensionistiche e previdenziali (es. pensione ai superstiti, integrazione al trattamento minimo, maggiorazione sociale, successione iure proprio, successione legittima, ecc.) e dell'applicazione delle disposizioni che le disciplinano, il componente dell'unione civile è equiparato al coniuge.

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