E' disponibile il file di "Parole di Acciaio n. 15" per Marco Bartoli, distribuito ai cancelli della TK.
Potete scaricarlo qui
Marco Bartoli, 47 anni, appartenente a quella classe
operaia "rude e pagana" che ha tentato l'assalto al cielo, è morto il
pomeriggio del 16 agosto rientrando a casa dalla Thyssen Krupp, ammazzato da un
infarto.
Marco
aveva costituito insieme a Roberto ed altri il Cobas dell'acciaieria
Thyssen Krupp.
"Parole
d'acciaio" è stato il bollettino di lotta che discutevamo e abbiamo
scritto e diffuso insieme.
Ricordo
il suo intervento a piazza San Giovanni all'ultimo sciopero generale unitario
del sindacalismo di base.
Amante
della montagna, di quel posto liminare sulla Valnerina che è la dogana di Salto
del cieco, mille metri sopra Ferentillo, sotto il monte Aspra: il suo rifugio
era la ex dogana tra lo stato pontificio ed i Borboni, una locanda gestita da
tempi antichi dalla sua famiglia. Una locanda in cui dopo il settembre '43 si
riunì la brigata partigiana Garibaldi che costruì in Valnerina una zona
di lotta armata contro fascisti e nazisti. Ne eri fiero, quasi testimone
indiretto.
Quelle
tre radici: operaia ribelle, contadina/montagnarda aspra e generosa ed
antifascista radicale ed intransigente, Marco le ha intrecciate e riunite con
coerenza, nelle lotte che ha fatto sul territorio ed in fabbrica.
Alla
Thyssen è stato tra i protagonisti del primo ciclo delle lotte 'autorganizzate'
agli inizi del '2000 e poi tre anni fa a fine 2014, quando ha partecipato
attivamente ai 44 giorni di sciopero, anche se in maniera critica -prefigurando
la sconfitta operaia e la mediazione dei sindacati concertativi.
Ricordo
la telefonata in cui ci invitava a venire alla palazzina dirigenziale dove era
stata sequestrata dagli operai scesi spontanemente in lotta l'AD della TK,
quella Morselli che sarebbe stata "liberata" dalla polizia sotto una
granucola di sassi solo alle 5 e 30 della mattina, prima del cambio turno.
Ricordo
le riflessioni private e gli interventi pubblici, pacati nel tono ma radicali,
che rivendicavano sempre soggettività, critica e quel ribellismo che ti era congenito.
Ricordo
i volantinaggi alle 5 di mattina, le tante firme raccolte e la rabbia per la
sconfitta alle elezioni RSU contro la burocrazia sindacale dei compromessi e
delle prebende.
L'antifascismo
carsico che era riaffiorato durante i tentativi dei neofascisti di mettere il
muso nella concaternana, durante la manifestazione all'aviosuperficie, oppure
per monitorare i tentativi di infiltrarsi in Valnerina, oppure nella bandiera
rossa che con altri facesti sventolare il primo maggio sulla torre di Macenano.
Oggi
affiora dai ricordi anche il tuo sorriso sornione, d'intesa, durante gli
scontri di piazza a Roma, di nuovo a Piazza San Giovanni, qualche anno
fa, o la rabbiosa marcia notturna alla casa del capo del personale TK,
quando sembravano vicine le centinaia di lettere di licenziamento.
Il
tuo non piegarti a compromessi, non accettare di svenderti per qualche moneta,
preferendo sempre la coerenza e la difficile solidarietà tra compagni di
lavoro. Il non accettare tessere che ti avrebbero garantito passaggi di livello
e le ultime discussioni in cui mi dicevi che preferivi rimanere "operaiaccio" che non essere assorbito
nelle gerarchie di fabbrica per sfruttare i tuoi compagni per qualche fiorino
in più.
Il tuo
non obbedire ai superiori, il tuo rivendicare inflessibilmente diritti e
sicurezza nel posto di lavoro. Il tuo sentire e vivere materialmente e
naturalmente la solidarietà di classe, espressa
senza
retorica ma con presenza ed attenzione costante ed attenta, come per il
licenziamento di Paolo da parte della Coop.
Ed anche
sul territorio, contro il nucleare prima, contro la privatizzazione dell'acqua
pubblica poi ed infine contro un acquedotto nefasto ed inutile che devasta la
tua valle, nelle manifestazioni, negli incontri, nei dibattiti che hanno visto
la tua presenza tra chi rivendica la difesa della Valnerina contro la
speculazione e le devastazioni da parte delle lobbyes politico-economiche che
si spartiscono il territorio.
Come
potevi ti rifugiavi in montagna, da vero metalmezzadro dell'Appennino, dove
gestivi il tuo tempo tra rimossi ricordi paterni e la cura, la precisione e
l'amore che avevi per le tue passioni. Ultima la coltivazione dello zafferano,
nonostante l'altitudine ed i cinghiali. Sulla montagna che muore mi avevi
raccontato che Pietro -l'eremita che viveva vicino al Salto del
Cieco- dopo oltre 20 anni aveva abbandonato la montagna, e me lo
avevi raccontato come se ti avesse lasciato più solo, lassù in alto.
Quelle
serate, quelle cene davanti al camino, tra tartufo e grigliate a parlare di
presente, di futuri possibili, mentre il vino rosso e tosto scendeva bicchiere
dopo bicchiere.
Solo non
sei mai stato, grazie a tua moglie Sabrina e a tua figlia Iris, non lo sei mai
stato per i tanti amici e compagni che hai legato a te con la tua esistenza non
banale, mai vuota, sempre alla ricerca, sempre spinto da una profonda voglia di
sapere, di conoscere, di costruire mondi e relazioni altre...
Ciao
Marco, continui a esserci nelle nostre lotte, nei nostri brindisi...
Franco Coppoli
***
Per uomini come Marco, la parola ''Compagno'' non è né 'scaduta', decretata cadùca, obsoleta, né dissipata, inflazionata, logorata da ambiguità e stupri semantici. Neanche è fregio stucchevole inalberato a buon mercato e fatuamente esibito. È pertinente. È parola netta, pregnante, limpida, antica e sempre nuova. Cum, com, il radicale di comune, di comunanza, dicomunismo come istanza, necessità radicale saputa riconoscere ; come forma di vita e d'azione, come abitudine che non è né ''paradiso perduto'', età dell'oro, né qualcosa imprigionato nel 'nôvismo', nel culto dell'inedito, relegato nel futuro più o meno probabile. E il resto della parola parla del pane, del pane spartito, condiviso, nella fratellanza di vita e lotta, di rivolta e di intensa applicazione a ''pensare il più possibile, insieme'', e agire di conseguenza.
Lo avevo conosciuto quasi subito, rientrato nel ''Paese dove il Sì suona'' dieci anni fa per maturata prescrizione dell'esecuzione della pena dopo più di venticinque anni di... ''esilio'' (che è termine eufemistico per ''latitanza''), preceduti da altri tre fra carceri speciali, ospedali, ''evasione sanitaria'' ed erranza di fuggiasco come tanti altri uomini e donne della lunga onda d'urto seguita in Italia al Sessant'otto, che avevano avuto la chance di non essere rimasti intrappolati dietro quelle muraglie...
Li avevo conosciuto a Terni, al ''Cimarelli'', lui e il suo ''intimo compagno d'arme'' Roberto 'Anafrik'. Operai, quelli del ''dentro/contro'', della resistenza accanita alla pervasività cancerosa del Lavoro, e di tutte le forme connesse della società costituita, le logiche, le relazioni, i dispositivi e gli effetti, la ''formattazione della vita intera'' rispetto alle economie di comando, di messa a valore, di dominio che si vuole totale.
Operai di tipo ''classico'', e al contempo culturalmente, esistenzialmente debordati da una coincidenza unidimensionale con quelruolo, i conflitti connessi, la sua stessa contestazione.
Proletario, Marco, complesso, con tutta la memoria delle radici antiche come inscritta nel corpo, alla maniera della ''memoria dell'albero'' di cui parla Brecht, e al contempo con la frequentazione di tutte le dimensioni ulteriori che si possono sperimentare.
Non voglio ripetere con qualche variazione su tema le parole di Franco, narrazione e abbozzo di ritratto. Voglio solo offrire un riscontro a quel ritratto, per così dire, ''antropologico'', che il dialogato immaginario con lui scritto e probabilmente ridetto qui da Franco : sì, quel misto di disincanto ''sornione'' e di 'disperata tenacia' comunque ; quell'esporre con quïeta ragionevolezza concetti, analisi critiche, linee di condotta radicali.
Irriducibile 'quadratore di cerchî', Marco. Tra quella che si potrebbe chiamare ''ontologia di una guerra sociale incessante'', e l'attenzione alla singolarità, al convivio, all'amicizia, al riso...allo zafferano di montagna.
Per quanto mi riguarda, lo avevo detto per iscritto l'altro giorno :
'' MARCO BARTOLI, Compagno.
Compagno : ''vecchio'' ribelle, combattente contro il
padrone-ThyssenKrupp, contro il Lavoro, forma alienata di attività, contro
''funzionarî e marescialli'' del capitale, sbirrerìa padronale,
''vaselina'' d'ogni tipo, ''protettori'' (nel senso proprio di
'prosseneta') delle gerarchie sindacali ; contro maldeliranti demenzialisti
criminaloidi dell' ''Arte del Governo'', tòssici della Governamentalità,
politicanti di 'mmerda, fascisti o 'baroni' dell'antifascismo di Stato come
fondo di commercio e diversivo ; contro democratòcrati, e in particolare
mandarini social-demo-stalino-liberalo...cràtici, contro crumiri della
replicazione metastatica di servo/padronalità||...quanto si potrebbe
continuare ?
Per intanto, vengono alle labbra parole pur sempre inadeguate :
▪ Poi che ''il nostro bisogno di consolazione è indissetabile''*, vogliamo
pensare che ''chi ha compagni non morirà''*– non del tutto...
▪ « Nelle città venni al tempo del disordine,
quando la fame regnava.
Tra gli uomini venni al tempo delle rivolte e mi ribellai con loro, insieme
a loro.
Così il tempo passò
che sulla terra m'era stato dato »*
[* Stieg Dagermann * L'Internazionale di Fortini * Bertolt Brecht
(trascelto da 'Scalo')]
Oreste Scalzone
***
Ciao, Marco, ti scrivo perché oggi davanti a tutta quella gente forse non
me la sentivo di parlare.
Mi sembra assurdo che te ne sei andato così senza preavviso,
inaspettatamente.
Il giorno di Ferragosto eravamo insieme vicinissimi come una famiglia. Io e
te non ci conoscevamo benissimo ; mi ricordo che neanche sapevo che tu fossi
mio zio, e tu mi chiamavi "parè".
Eppure quando ci incontravamo nei pressi del Salto del Cieco o al Centro
Sociale Cimarelli avevo sempre l'impressione di parlare con un amico oltre che
con uno zio, quella sensazione che nasce spontanea tra compagni, quel senso di
fratellanza che va oltre legami parentale e che sconfitta nella condivisione
libera di quelle cose belle che non muoiono mai e che hai dentro da sempre;
come la montagna e i canti partigiani che riecheggiano nel tempo tra le
vallate, tra quei boschi, nelle grotte nei sentieri e nelle dogane.
Mi ricordo che quando stavamo seduti a tavola su al Salto tu ricordavi la
zì Teresa, anche lei scomparsa da poco e io ricordo ancora la sua grande
conoscenza dei boschi e dei posti dove trovare i funghi. Stavamo lassù a
parlare di come ci si sente soli mentre vedi il tempo che passa e le persone
che passano con lui.
Tutte pero' hanno lasciato un segno indelebile, tutte parte di una ricchezza.
Questa amarezza che sentiamo oggi, caro Marco è anch'essa parte di una
storia che abbiamo scritto insieme e passerà lasciandoci forse un po' tristi,
ma pieni di coraggio e forza, quella forza che tu avevi e ci insegnavi e che
rimarrà sempre con noi, sul al fresco, tra le montagne.
"Per Aspera ad Astra".
Ciao Parè.
Francesco Scaccetti
***
Il pomeriggio del 16 agosto è
venuto a mancare Marco Bartoli.
L’abbiamo incontrato mentre
giravamo il documentario, ai blocchi delle portinerie, al centro sociale e dove
c’era bisogno di esserci.
L’abbiamo conosciuto nella
lunga intervista che abbiamo fatto insieme, in cui ci ha raccontato il suo
lavoro, la sua militanza, il suo amore per la Valnerina; senza le parole di
Marco il film non avrebbe avuto la sua spina dorsale. L’abbiamo conosciuto per
poco ma a volte basta poco per fare crescere l’affetto e l’ammirazione.
Marco era una persona che
riusciva a parlare della propria vita e del proprio impegno con un'onestà e una
lucidità rara e preziosa.
Alla fine della proiezione del
mese scorso, la sua fu l’unica voce che si alzò tra il pubblico in silenzio:
“Tenete la telecamera accesa!” ci disse.
Lo faremo Marco, anche per te.
Greca e Matteo