Il 9 per le scuole elementari, il 10 per le scuole medie e il 16 per le superiori si svolgeranno negli istituti scolastici i famigerati e ridicoli quiz Invalsi. Il MIUR e i Signori Invalsi ci sono arrivati dopo un grottesco balletto di date, in cui si sono mescolate figuracce, cialtronate e furbate da parte di una struttura, i cui dirigenti sono pagati fino a 150 mila euro l’anno, che ha dimostrato di non conoscere, oltre al calendario elettorale neanche quello scolastico: il primo rinvio alle superiori è stato motivato con l’improvvisa “scoperta” delle elezioni amministrative a ridosso dell’8 maggio; per il secondo, i valutatori “ignoravano” che in Sicilia il 15 maggio le scuole saranno chiuse. E, pur immersi in tanta dabbenaggine, i Signori Invalsi pretenderebbero di giudicare, premiare o punire la scuola italiana, i suoi docenti e i studenti.
In realtà i megalomani e incapaci valutatori hanno allontanato le prove alle superiori dalle altre, perché temevano a ragione che la protesta, che alle superiori coinvolgerà come protagonisti anche gli studenti, potesse, se svolta il primo giorno, contagiare gli altri ordini di scuola. Comunque sia, questo escamotage non frenerà la forte contestazione ai quiz: e a tal fine i COBAS hanno convocato lo sciopero per le elementari il 9 maggio, per le medie il 10 e per le superiori il 16, quando insieme agli studenti manifesteremo in tante città italiane.
Ma quanto è elevata tra docenti ed Ata (e tra genitori e studenti) la consapevolezza che l’Invalsi e la mutazione in scuola-quiz e scuola-miseria sono le armi di disgregazione definitiva dell’istruzione di qualità e di riduzione degli istituti scolastici a luoghi di general-generica infarinatura culturale svolta da “fornitori di servizi educativi” incaricati di “produrre” una massa di precari flessibili e indifesi per un apparato produttivo incapace di innovazioni e ideazioni, drogato di sostegni statali e capace solo di abbassare all’estremo costo del lavoro e sue tutele? E quanto è chiaro agli insegnanti che non ostacolando la scuola-quiz cooperano all’eutanasia della professione docente? Le risposte a queste cruciali domande le avremo, almeno in parte, nelle prossime settimane e poi alla luce dei risultati della mobilitazione contro i quiz nella suddetta settimana di maggio.
Per l’intanto, notiamo che coloro i quali negli anni passati avevano creduto alle rassicurazioni dei ministri Fioroni e Gelmini sull’innocuità dei quiz, presentati addirittura come supporto didattico ai docenti, ora dovrebbero poter aprire gli occhi. Di fronte alle sollecitazioni della Commissione Europea prima il governo Berlusconi e poi quello Monti hanno ammesso ciò che noi sosteniamo fin dall’esordio dell’Invalsi: “La responsabilità delle singole scuole verrà accresciuta, sulla base delle prove Invalsi, definendo per l’anno scolastico 2012-2013 un programma di ristrutturazione per quelle con risultati insoddisfacenti; si valorizzerà il ruolo dei docenti, elevandone, nell’arco di un quinquennio, impegno didattico e livello stipendiale relativo; si introdurrà un nuovo sistema di selezione e reclutamento”. Gelmini prima, il neo-ministro Profumo poi, hanno smentito nell’arco di tre mesi chi negli ultimi anni si era affannato a dimostrare che l’Invalsi avrebbe aiutato docenti e studenti, scuola e famiglie: come sempre sostenuto dai COBAS la valutazione a quiz è un temibile strumento per piegare, con il ricatto del licenziamento e della dismissione degli istituti (come negli USA e in Gran Bretagna), docenti e scuole alla involuzione più miserabile dell’istruzione.
I due governi, con una staffetta micidiale, hanno convenuto che “ l’ Invalsi misurerà il ‘valore aggiunto’ in termini di risultati dell’insegnamento prodotti da ogni scuola. La valutazione delle scuole sarà condotta da un Corpo di Ispettori…e porterà alla definizione di una classifica usata per dare alle scuole migliori incentivi e ricompense in termini di finanziamenti..Gli Ispettori valuteranno i risultati e proporranno le misure più appropriate che potranno includere una ristrutturazione dell’istruzione, compresa la ridefinizione della dimensione delle singole scuole. Per valutare le carriere dei migliori docenti è stato testato un sistema innovativo che disponga nuovi criteri di ricompensa”.
Dunque, come dai COBAS previsto fin dall’avvio del “nuovo” Invalsi, i quiz verranno usati per ristrutturare l’istruzione, premiare i docenti proni agli indovinelli, assegnare loro maggiorazioni stipendiali e progressioni di carriera e aumentare i finanziamenti non alle scuole in difficoltà ma a quelle che saranno giudicate le migliori in base ai quiz. Che queste saranno le linee-guida del programma per la scuola lo ha confermato Monti al Senato il 17 novembre, giorno del voto di fiducia al governo e dello sciopero generale dei COBAS, che ben avevano capito quale fosse il complessivo programma anti-popolare dell’algido “tecnocrate”: “La valorizzazione del capitale umano deve essere un aspetto centrale: sarà necessario mirare all’accrescimento dei livelli di istruzione della forza-lavoro, che sono ancora oggi nettamente inferiori alla media europea, anche tra i più giovani. Vi contribuiranno interventi mirati sulle scuole…anche mediante i test elaborati dall’Invalsi e la revisione del sistema di selezione, allocazione e valorizzazione degli insegnanti”. E pochi giorni dopo gli ha fatto eco il neo-ministro Profumo in prima fila per imporre la “valutazione come fattore imprescindibile per attivare qualsiasi processo di miglioramento sia nella scuola che nell’Università” durante un Convegno internazionale, sponsorizzato da grandi centrali economiche e finalizzato a dimostrare la assoluta centralità della valutazione.
Le intenzioni degli aziendalisti scolastici sono cristalline: l’adeguamento alle esigenze del potere economico non passerà più attraverso le mega-riforme ma, come aveva anticipato una dozzina di anni fa Tullio De Mauro - ministro a Viale Trastevere nel 2000 per pochi mesi dopo la caduta di Berlinguer - attraverso la modifica delle prove finali per gli studenti e costringendo tutto il sistema didattico ad adeguarsi alla valutazione a quiz per assegnare premi e punizioni a studenti, docenti e scuole, con la conseguente ristrutturazione su questa base dell’intero ciclo didattico e la sparizione di materie e programmi stabili, alla ricerca di “competenze” che siano improntate a quella massima flessibilità cognitiva richiesta dalla impresa capitalista.
Ma l’imposizione dei quiz come prova della qualità del lavoro dei docenti e degli studenti intende anche e soprattutto provocare la standardizzazione dell’insegnamento, da tempo ricercata da chi vuole far divenire l’istruzione una merce da vendere in regime di concorrenza tra privati. Sulla base dei quiz Invalsi si potrà modificare alla radice il lavoro didattico, imporre un modello universale di insegnamento-infarinatura, costringere il docente a seguire procedure prestabilite e generalizzabili, sconvolgere i testi scolastici (“stiamo invalsizzando i nuovi testi”, dicono ai docenti i rappresentanti delle case editrici). Una volta realizzata la standardizzazione e la verifica omologata dell’insegnamento, verrebbe meno la necessità dei docenti professionisti. Per impostare, applicare e valutare i quiz e con essi il rendimento di un insegnante o di uno studente, non serve un corso di laurea, basterebbero quei prestatori di servizi eduvativi che l’OCSE caldeggiava fin dal 1996, trattandosi di un lavoro di bassa qualità. Insomma, i docenti che accettano l’invalsizzazione contribuiscono alla eutanasia di una professione, oltre che all’immiserimento della scuola.
Secondo i diktat dei sostenitori della scuola-azienda e dell’istruzione-merce, l’obiettivo dell’istruzione non sarebbe più l’acquisizione del sapere (o dei saperi) e la capacità di leggere il mondo ma l’addestramento a “competenze” che permettano di svolgere lavori a bassa qualifica e modellati sulle capricciose esigenze del mercato. Ma se basta una infarinata linguistica, tecnica e numerica per uno studente disciplinato e reso acquiescente nel lavoro e nella società, colmo di “spirito aziendale e di gestione”, allora certamente la spesa pubblica del passato per l’istruzione risulta esagerata. E conseguentemente la scuola-azienda non può che produrre una scuola-miseria basata su quiz come metro di valutazione e di apprendimento. Di qui la drastica riduzione degli investimenti, condotta da tutti gli ultimi ministeri, il taglio di scuole, materie, orari e posti di lavoro, l’espulsione dei precari, il blocco di contratti e scatti di anzianità, il furto delle pensioni.
Per tutte queste ragioni l’epicentro dello scontro tra i difensori della scuola pubblica e i suoi distruttori sarà nelle giornate tra il 9 e il 16 maggio quando le scuole italiane saranno nuovamente investite dallo tsunami Invalsi con il tentativo ministeriale di imporre nuovamente e illegalmente i quiz ad ogni istituto e ad ogni docente. Se la grande maggioranza degli insegnanti, degli studenti (alle superiori) e dei genitori (medie ed elementari) collaborerà ai mefitici quiz, il prossimo anno essi diverranno prova d’esame alla Maturità, completando il ciclo della valutazione quizzarola e del conseguente immiserimento didattico nell’intero ciclo scolastico.
E’ dunque cruciale il più ampio boicottaggio dei quiz, che non sono obbligatori né per le scuole né per i docenti, malgrado il MIUR e i presidi cerchino illegalmente di imporre il contrario usando l’insignificante frasetta sul loro essere “attività ordinaria” (lo sono anche le gite e tante altre cose che però vanno decise dagli Organi collegiali, non devono svolgersi necessariamente, anzi, in orario scolastico e non sono obbligatorie né per i lavoratori né per gli studenti) inserita arbitrariamente da Monti nel Decreto Semplificazioni. Stiamo discutendo con varie organizzazioni studentesche e con molti genitori le forme del boicottaggio, che utilizzerà le tre giornate di sciopero ma anche tutte le forme possibili di rifiuto di svolgimento dei quiz: e che porterà il 16 maggio in tante piazze italiane la protesta del popolo della scuola pubblica contro la scuola-quiz e la scuola-miseria. In particolare ai docenti spetta dimostrare che hanno a cuore il fondamentale ruolo di chi deve consentire agli studenti di “leggere il mondo da soli”, di uscire nella società con un bagaglio di conoscenze ed esperienze che non li lasci indifesi: e che, dunque, non vogliono passare alla storia di questo Paese come coloro che si suicidarono professionalmente, operando per l’eutanasia dell’insegnamento.
Piero Bernocchi
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