Annullata la sanzione inflitta dal preside
Il personale Ata può essere fatto oggetto della sanzione della sospensione dal servizio
solo a seguito di gravi mancanze oppure, in caso di recidiva, quando l'infrazione precedente sia stata punita con il massimo della multa. Se manca anche uno solo di questi elementi la sanzione è illegittima e va annullata. É questo il principio affermato dal Tribunale di Potenza con una sentenza depositata il 17 dicembre scorso (842/13, r.g. 61/2011). Il giudice del lavoro ha anche condannato l'amministrazione, in solido con il dirigente scolastico, a pagare 1800 euro di spese legali più Iva e cassa per gli avvocati. In tutto: circa 2284 euro. Il caso riguardava un lavoratore appartenente al personale Ata, che aveva fruito di 3 giorni di permesso per motivi personali, dandone comunicazione scritta, via fax, al dirigente scolastico. La fruizione del permesso non gli era stata preclusa, ma al rientro in servizio il dirigente aveva ritenuto di sanzionare il lavoratore con 6 giorni di sospensione, basandosi su di un'asserita recidiva della quale, in sede di giudizio, veniva accertata l'assoluta inesistenza. Il lavoratore, infatti, non si era rassegnato e aveva impugnato la sanzione davanti al giudice del lavoro che, a circa 3 anni di distanza dal fatto, gli ha dato ragione, annullando la sanzione e condannando l'amministrazione a pagare le spese legali e a reintegrarlo in tutti i suoi diritti. La questione investe essenzialmente due situazioni giuridiche. La prima è il diritto ai permessi, in merito al quale la costante giurisprudenza di merito ha spiegato che si tratta di diritti soggettivi potestativi, come tali, non soggetti ad alcun potere discrezionale di diniego da parte del dirigente scolastico. E la seconda è la tassatività delle disposizioni che regolano il procedimento disciplinare. Tassatività informata alla necessità di garantire il diritto di difesa del lavoratore incolpato e ad assicurare la proporzionalità tra l'entità dell'infrazione e la sanzione applicata. Giova ricordare, peraltro, che sul primo principio lo stesso giudice, in altra sentenza del 4 ottobre scorso (Tribunale di Potenza n.544/2013) si era espresso in conformità all'orientamento della giurisprudenza. E dunque, nel giudizio oggetto della sentenza del 17 dicembre ha ritenuto di non pronunciarsi nel merito limitandosi a censurare i vizi di legittimità del provvedimento. Censure che sono state sufficienti a giustificarne l'annullamento e la conseguente condanna dell'amministrazione a reintegrare il lavoratore nei suoi diritti.
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