Le associazioni di
categoria ricavano questi introiti dalle buste paga dei lavoratori, così come i
"gettoni di presenza" presso gli enti bilaterali. Al ministero del
Lavoro li definiscono una "royalty" per avere chiuso i contratti, a Cgil,
Cisl e Uil servono a fare quadrare i bilanci di Salvatore
Cannavò |
In molti credono che i sindacati siano
finanziati dalle quote dei propri iscritti. Nelle pieghe di bilanci – che per
quanto riguarda le categorie o i comitati regionali non sono consultabili – si
possono scoprire invece altre voci, diverse da quelle relative alle tessere
degli iscritti. Voci complicate, poco conosciute, come le “quote
di assistenza contrattuale” o i “gettoni di presenza”
presso Enti bilaterali o altri istituti analoghi. Prendiamo il bilancio del più
grande sindacato di categoria dellaCgil, dopo i
pensionati, la Filcams,
che organizza i lavoratori del Commercio del Terziario e del Turismo. Nel 2010,
anno cui si riferisce il bilancio in nostro possesso, i ricavi per contributi
sindacali, le tessere, ammontavano a 1,7 milioni di euro mentre quelli per le
“quote di assistenza contrattuale” erano molto più alti, 2,15
milioni e 685 mila euro provenivano da “gettoni di
presenza”. Solo il 37 per cento delle entrate, quindi, proveniva dalle tessere
degli iscritti, meno della metà del totale.
Ma cosa sono le “quote di assistenza contrattuale”? La cifra è
presente in molti degli oltre 400 contratti stipulati dai sindacati nazionali
(l’elenco completo è consultabile sul sito del Cnel) e
rappresenta una quota straordinaria che i sindacati e i datori di lavoro
prelevano dalle buste paga dei lavoratori per aver concluso il contratto. Un
premio per il lavoro fatto. Nell’ultimo Ccnl (contratto nazionale) dei
metalmeccanici, ad esempio, Fim e Uilm hanno richiesto un contributo “una
tantum di 30 euro per ogni lavoratore non iscritto al sindacato da trattenere
sulla retribuzione”. Sul contratto, poi, era indicato il conto corrente
bancario (presso il Credito cooperativo di Roma) su cui effettuare il
versamento. Parlando di circa un milione di lavoratori è facile fare i conti.
Per quanto riguarda i contratti del Commercio e del Terziario, la sola Filcams
ha iscritto in bilancio 2,15 milioni che vanno moltiplicati per tre (cioè anche
per Cisl e Uil)
e poi per due (la parte datoriale). Il totale, quindi, è di circa 15
milioni di euro che rimpolpa bilanci spesso piuttosto
magri. Un fiume di denaro assicurato dalla pratica del “silenzio-assenso”, per
cui sono i lavoratori a dover mettere per iscritto il proprio rifiuto a versare
la “tassa occulta”. Ma sono in pochi a saperlo.
Quella quota, poi, spesso è mescolata all’altra contribuzione poco
nota, quella relativa agli Enti bilaterali.
Questi organismi, governati alla pari da sindacati e imprese, sono stati
istituiti nel 2003 dalla legge 30 e vengono regolamentati dai contratti
nazionali e/o territoriali. Servono a offrire prestazioni e servizi ai
lavoratori sul piano della formazione professionale o
del sostegno
al reddito. Solo nel settore del Commercio e dei Servizi, la
Filcams ne ha conteggiati circa 200 tra i 20 nazionali e i 194 provinciali e
regionali. Ma ormai sono presenti in ogni categoria contrattuale e, come spiega
al Fatto il
segretario generale del ministero del Lavoro, Paolo Pennesi,
“svolgono un ruolo di supporto all’attività pubblicistica” ma sono comunque
regolati dal diritto privato. Quindi, di fatto, non sono soggetti a particolari
controlli “se non quelli relativi alla loro affidabilità basata sul fatto di
essere emanazione di sindacati rappresentativi”.
Il problema è che anche questi Enti ricevono un
contributo dai lavoratori: generalmente dello 0,3-0,5 per cento
che però, in alcuni casi, sale all’1 per cento della retribuzione. Circa 50
euro l’anno a lavoratore per qualche milione di addetti. Una mole di denaro non
rendicontato e non sottoposto ad alcun controllo. Uno studio della Filcams del
2011, relativo al proprio comparto, notava che le risorse “a favore dei lavoratori
e delle imprese non superano quasi mai il 50 per cento dei contributi incassati
dai singoli enti” oppure che, per quanto riguarda i compensi, si possono
“raggiungere indennità elevatissime fino a 70 mila euro annui per una
presidenza”.
Un particolare Ente bilaterale, come l’Enasarco che
gestisce il fondo pensioni per gli Agenti di commercio, spende ogni anno, per
retribuire i suoi 18 amministratori (Cda e Collegio sindacale) 1,3 milioni di
euro, oltre 72 mila euro a testa. Ma il presidente, Brunetto
Boco, percepisce molto di più. E Boco è anche il segretario
generale della UilTucs,
il sindacato del Commercio, Turismo e Servizi. Lo stesso dottor Pennesi ricorda
che il ministero del Lavoro ha già chiarito “che gli accordi in materia di
bilateralità impegnano soltanto le parti aderenti”. In questo spirito, dunque,
fa notare, anche le quote di assistenza contrattuale, definite alla stregua di “royalties”,
dovrebbero poter essere imposte “solo a chi è iscritto” ai sindacati, dei
lavoratori o delle aziende.
“In realtà i nostri contributi derivano principalmente dalle
tessere”, spiegano sia in Cgil che in Cisl anche se, ammettono, le quote di
assistenza sono un modo in cui “soprattutto le categorie più deboli” compensano
iscrizioni basate su stipendi bassi (la tessera al sindacato mediamente è l’1
per cento della retribuzione). “Si tratta di un metodo utilizzato dal sindacato
anglosassone” spiegano in Cisl dove in molti dichiarano
conclusa “l’epoca del sindacalismo gratuito”.
Il fenomeno delle entrate aggiuntive alle
iscrizioni è molto più ampio, e opaco, se si considerano i contributi indiretti
provenienti dal settore pubblico. La tanto decantata, e assolutamente priva di
risultati, “relazione Amato sul finanziamento diretto e indiretto del
sindacato” indicava in 113 milioni di euro il costo dei circa 2mila distacchi
sindacali; in 330 milioni il trasferimento dagli Istituti di previdenza ai
Patronati nazionali; in 170 milioni le convenzioni dei Caf,
i centri di assistenza fiscale che, in più, ricevono dallo Stato 14 euro per
ogni singola dichiarazione dei redditi e 26 euro per quelle in forma congiunta.
Formalmente questi soldi non vanno a Cgil, Cisl e Uil che però gestiscono
quegli istituti con tutti i vantaggi del caso. Come si può vedere, le vie del
finanziamento al sindacato sono infinite. da Il Fatto Quotidiano del 15
gennaio 2014
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